1992 maggio 17 Quanto pesano 10 voti

1992 maggio 17 – Quanto pesano 10 voti

Ad Arnaldo Forlani servivano 508 voti; il quadripartito ne disporrebbe di 532, addirittura di 546
aggiungendo i sudtirolesi e un autonomista trentino. Due votazioni hanno confermato quanto si
sapeva da tempo: il quadripartito non esiste. Né con i numeri né tanto meno con la cifra politica.
Dieci voti in più o in meno a Forlani non spostano di una virgola la realtà. Neppure la candidatura del
segretario della Dc, sintesi del partito di maggioranza, sfugge alla precarietà della formula.
Che non concerne soltanto l’elezione del Capo dello Stato; proietta già l’ombra lunga sulla
formazione del futuro governo. In Parlamento il quadripartito è una lingua morta; non esprime più né
presente né futuro. Semmai stupisce la pervicacia nel rifiutare ciò che il voto del 5 aprile aveva
segnalato con inusitata chiarezza.
Molto istruttivo a questo proposito un episodio raccontato da Mario Segni, leader dei 43 dc del patto
referendario, subito dopo la designazione di Forlani come candidato. Segni si era appellato alla
“generosità” di Forlani e di Andreotti, chiedendo loro di farsi da parte per favorire così una soluzione
innovativa. Quale è stata la risposta di Forlani? Ecco come l’ha riferita testualmente lo stesso Segni:
“Forlani mi ha detto in sostanza che la crisi di sfiducia nei partiti è determinata dalla critica che noi
politici facciamo al sistema”!
Il pantano istituzionale dal quale non si riesce a smuoversi resta sempre lo stesso. Vale a dire la
resistenza, persino patetica, ad abbandonare riti consunti, equilibrismi da basso impero, che finiscono
con l’umiliare anche quel po’ di uomini presentabili e quel tanto di apertura al nuovo che tra mille
fatiche si fa strada.
Senza contare che la presidenza Cossiga ha lasciato un segno che soltanto gente in malafede o di
nessuna consistenza sottovaluta. Ci si può separare sul giudizio, ma certamente Cossiga ha rianimato
il Quirinale, gli ha dato visibilità popolare, lo ha trasformato in laboratorio del malessere istituzionale.
Fino a quando non eleggeremo direttamente il presidente della Repubblica, proprio il successore di
Cossiga non potrà permettersi il lusso di riposare sulle mediazioni o sulle pandette. Dovrà stare in
prima linea con le riforme, perché sulle riforme si è formata dopo il 5 aprile l’unica vera “unità
nazionale” della Costituzione.