1992 maggio 25 E si chiedono perchè

1992 maggio 25 – E si chiedono perché…
Siamo con lo Stato a pezzi, senza Capo dello Stato, senza Governo. Volendo commemorare seriamente
Giovanni Falcone, si sarebbe dovuto eleggere il Presidente svuotando di colpo Montecitorio. Ma, siamo
realisti, era pretendere troppo dopo due settimane di votazioni simili ad agguati. Se manifesta lo choc,
il rinvio ad oggi assolve il Parlamento; se sarà anche parzialmente sfruttato per deglutire l’emozione e
restituire i partiti ai veti, l’opinione pubblica non perdonerà più nulla. L’ennesimo segnale ieri a
Palermo quando urla, fischi e insulti hanno investito Spadolini, Scotti, Martelli, per il solo fatto di
rappresentare queste Istituzioni, questo Governo, questa politica. La lapidazione del potere in sé, non
un linciaggio. Ha detto un giudice di grande esperienza: «Quando ho iniziato a sentire le solite
dichiarazioni dei politici sulla lotta alla mafia, ho chiuso la televisione per non bestemmiare». Come il
generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, anche Falcone intuiva che di solitudine e di
disattenzione si può morire. A Roma, Falcone girava con sei auto di scorta. La solitudine che uccide è
un’altra. Consiste nella resistenza a mettere in campo quello che Scalfaro ha chiamato ieri «uno Stato
democratico forte, capace, efficace, limpido e vero». Uno Stato ineccepibilmente presente soltanto ai
funerali. Spadolini non è uno che scappa. Di fronte ai fischi, ha dichiarato: «Tocca al potere politico
assicurare che la giustizia plachi gli animi esasperati» Non crediamo più in nulla, questo è il guasto più
devastante. Le forze dell’ordine hanno la sensazione di lavorare spesso a vuoto, contro cattive leggi o
buone leggi applicate con troppa tolleranza. Quando Cossiga invocava misure eccezionali per un
fenomeno eccezionale, la cultura del garantismo a oltranza lo liquidava con fastidio. Soltanto la mafia
ha le idee chiare. Progetta, pianifica, esegue. E noi stiamo qui a chiederci: perché? Incredibile. Perché
hanno ucciso Falcone?, è la domanda che inquieta tanti commentatori! Ed è invece l’unica domanda da
non fare, perché conosciamo tutti la risposta. Fosse ancora vivo, Falcone lo spiegherebbe con
razionalità. Era l’uomo che aveva teorizzato la cupola, cioè l’architettura della mafia; era l’uomo che
ne ricercava la chiave moderna nell’intreccio internazionale; era l’uomo che sapeva di più; era l’uomo
che dal ministero di Grazia e Giustizia favoriva l’investigazione globale soprattutto sul narcotraffico e
sul riciclaggio di denaro. Nonostante lo sciacallaggio di qualche suo collega, Falcone non aveva
lasciato Palermo per fare il mezzemaniche a Roma. La professionalità, l’esempio, il prestigio
internazionale: questo non gli aveva mai perdonato la mafia. Era un simbolo, più operativo che mai.
Non nascono due Dalla Chiesa, due Falcone. Ovunque, soprattutto in Italia, gente così è rara. Se li
ammazzi, fai il vuoto per anni: questa è la brutale verità, altro che chiedersi perché. La mafia stimava
molto Falcone; sapeva che era stato e restava una minaccia. Sapeva anche che, fermando lui, avrebbe
riaffermato l’onnipotenza della paura. Falcone era appeso a un filo ma, forse, nemmeno lui avrebbe
potuto immaginare di essere il bersaglio da eliminare a tutti i costi, a qualunque prezzo, con un piano
militare, con infiltrazioni di primissimo livello, con tecnologia da guastatori, con la precisione che non
lascia scampo. Mai la mafia aveva messo in atto un’operazione tanto meticolosa; se per liquidare un
giudice ha sventrato un’autostrada senza badare a vittime d’ogni tipo, significa che quel giudice era un
pezzo di Stato che funzionava e che garantiva guai al crimine organizzato. Qui sopravvive la speranza.
Nella coscienza che ci sarebbe il modo, ci sono gli uomini, avremmo le intelligenze e i mezzi. L’Italia
lo sa ed è esasperata, inferocita, proprio perché lo sa. Il ceto politico ha una sola possibilità: sfruttare
quella coscienza e questa esasperazione. Sennò tornerà in buona parte a casa, in fretta, a colpi di voto.
25 maggio 1992