1992 luglio 23 I tedeschi e Rocchetta

1992 luglio 23 – I tedeschi e Rocchetta

Tutti si chiedono come potrebbe uscirne. Molti temono attraverso Bossi e Rocchetta, non perché ce
l’abbiano con a Lega in sé, ma perché manca tutt’ora di classe dirigente.
Quando un sistema degenera per autocombustione o si riforma in tempo o perde il consenso. La
Lega non ha fatto che andare all’incasso della protesta, condivisa anche da chi sceglieva poi altre
strade per manifestarla. La reazione popolare ha generato Bossi e Rocchetta, non questi, quella. La
Malfa ci ha provato fuori tempo massimo: troppo a lungo il Pri era stato nel Palazzo per poterlo in
quattro e quattr’otto contestare.
La protesta, i giudici; le tangenti, la mafia. Un processo di anni scredita il sistema, ma proprio il
collasso obbliga a ritornare in massa alla politica. Paradossalmente il momento magico, il primo del
dopoguerra.
Oggi è in ballo qualcosa di inedito: forse lo stesso superamento dei partiti attraverso nuovi partiti.
Non bastano più la cosmesi o la plastica facciale o il silicone di generici moralismi. Soltanto
riscoprendo in massa la politica, il vecchio sarà rimesso a nuovo o potranno emergere nuove
aggregazioni, come accadde, sia pure in tutt’altro contesto, nella Francia degli anni Cinquanta.
Ciò sia a sinistra nel dopo-Craxi e dopo il pasticcio del Pds; sia al centro in un dopo-Dc che può
riconsegnarla come partito popolare ai cattolici o che, in un’area liberal-cattolica nuova di zecca,
favorisca soggetti politici fino a ieri impensabili come ad esempio Cossiga & Segni. Difficilissimo
decidere come e cosa fare; più facile capire fin d’ora cosa non fare. Nessuno è più disposto a
tollerare il ricatto della partitocrazia; dopo la caduta del comunismo, il richiamo ora all’emergenza
economica, ora alla governabilità, ora all’unità contro il dilagare mafioso, ora alla confusione
istituzionale, ora alla precarietà delle proposte. Quand’anche fondato, viene per lo più avvertito
dall’opinione pubblica come minaccia di gattopardi, per occultare il cambiamento.
In una Venezia tanto paralizzata quanto osservante dei soliti riti, Massimo Cacciari teme una
possibile evoluzione di questo tipo. Un’Italia “eterodiretta” dall’Europa, cioè guidata dall’esterno
da Berlino o Bruxelles e all’interno consegnata al localismo. “Governati dai tedeschi e amministrati
da Rocchetta”, per usare la sintesi di Cacciari.
Il fatto è che gli italiani si sono messi per troppi anni in aspettativa come cittadini. Con il risultato
che un’intera classe di potere si è via via rintanata nell’illegalità e nell’inefficienza. E’andato così
smarrito il gusto sia di governare che di fare opposizione.
L’insidia più forte oggi viene tuttavia dalla tentazione dell’abbandono, dalla voglia di mollar tutto e
di ritirarsi a vita privata. Ma a vita privata vanno rispedite semmai, le migliaia di mandarini della
partitocrazia piccola e grande, non chi ci sta a prendersi le scomode responsabilità di oggi e di
domani.
Anzi, è questo il momento del ricambio degli uomini e delle regole, indispensabili gli uni alle altre.
Il momento in cui i giovani, le donne emergenti nella società, i ceti professionali e imprenditoriali, i
politici e gli amministratori che – contro tendenza – hanno tenacemente preservato l’efficienza e le
mani pulite, sono chiamati a rendersi disponibili. Si può anche perdonare l’astensione quando le
cose vanno bene; non ha scusanti quando rischiamo insieme il fallimento.
Per ottenere rapidamente un qualche risultato, vanno abbandonati a tutti i livelli istituzionali i
vecchi usi del potere ma anche la fuga dai doveri civili. Al Parlamento, a chi ci governa, a uno Stato
da rifondare, servono la partecipazione, le alternative, la spinta alle riforme. Più che mai la politica
si appellerà alle famiglie e ai ceti medi, scommetterà sulle ultimissime generazioni.
Utopia? No, soltanto la fredda analisi del possibile e del domani. O sarà così o non lamentiamoci
più, per sempre, del nostro sfascio quotidiano e dei ladri a tempo pieno.