1992 luglio 18 Fatti, non teoremi

1992 luglio 18 – Fatti, non teoremi

Giudice Nordio, il timore dell’opinione pubblica che possa accadere qualcosa che vi fermi è
fondata?
“Intendiamoci su questo “qualcosa”. Se lei si riferisce a qualche accidente giuridico, il timore
potrebbe sembrare fondato. Il nuovo codice di procedura penale è un colabrodo, tecnicamente mal
riuscito, ripetutamente modificato dal legislatore e mortalmente minato dalle sentenze della Corte
Costituzionale che ha definito “manifestamente irragionevoli” alcuni suoi articoli fondamentali. In
questa situazione di incertezza è possibile che un’interpretazione saputamente acuta di qualche
norma faccia crollare l’intero edificio da noi faticosamente costruito. Tuttavia, la nostra inchiesta
non corre in alcun modo questi pericoli. Ma se lei si riferisce ad aggressioni, intimidazioni,
pressioni esterne, il pericolo non esiste. Noi andremo fino in fondo.
Vorremmo approfondire il ragionamento sul codice
“Al punto in cui siamo, dopo riforme, controriforme e interventi demolitori della Corte
Costituzionale, il Codice è un mistero dentro un indovinello, avvolto in un enigma. Nessun giurista
ragionevole può dire di conoscerlo. Eppure, malgrado queste lacune, i fatti storici emersi dalle
indagini non potranno essere dimenticati. Nessun cavillo giuridico potrà modificare una realtà che
almeno nelle linee generali è oramai acquisita”.
Lei ha già parlato di “ambiente”, come se la corruzione fosse quasi un patto tacito. Noi da
parte nostra siamo stupiti e preoccupati da una certa “omertà” veneta…
“Non credo che si tratti di omertà. Parlerei piuttosto di rassegnazione. Una buona parte dei cittadini
ha accettato, come inevitabile, una situazione di soggezione ai partiti, alle forze che li esprimono e
che ne sono, a loro volta, espressione. Questa situazione è stata accettata anche da molti
imprenditori, alcuni dei quali hanno pensato bene di volgerla a proprio tornaconto, affidandosi ai
partiti e rimanendone vittime. Un connubio bizzarro e perverso, che ha generato il fenomeno delle
“tangenti”. Ma le regole fondamentali sono state dettate dai politici. Non ho dubbi su questo”.
Ma perché c’è ancora difficoltà – a suo parere – da parte di troppi imprenditori a rendersi
conto che questa è una grande occasione per loro, per il mercato, per la politica e per l’intera
società?
“Perché non si modificano, in poche settimane, le abitudini mentali di una vita. La maggior parte
degli imprenditori è ancora convinta che, passata la bufera, tutto ritornerà come prima, e loro
saranno esposti a una rappresaglia severa. Noi stiamo lavorando perché questo non avvenga. Ma se
dovesse accadere, sarà stata anche colpa della loro pavidità e della loro rassegnazione”.
E per gli imprenditori indagati?
“Nessuno è considerato colpevole fino alla sentenza di condanna. Questo vale per gli imprenditori,
come per i politici. Se poi qualcuno approfitta delle circostanze per scatenare una guerra privata,
questa è una degenerazione deplorevole, che però non riguarda la Magistratura. Approfitto per dire
una cosa. Ho sentito che alcuni imprenditori coinvolti nei processi, sono stati invitati a dimettersi
dalle loro associazioni. Credo che sia una decisione per nulla giusta e anche poco intelligente…”
C’è una tendenza, a nostro avviso perversa, a separare i magistrati in duri e remissivi.
Perché?
“Perché molto spesso ci si limita alle apparenze. Il nostro lavoro è, per la più parte, riservato ed
oscuro. Quello che fa notizia, è il suo aspetto eclatante; la cattura, il “blitz”. Allora si creano i
luoghi comuni, il “duro” incarcera. Ma le cose non stanno così. Noi ci limitiamo ad applicare la
legga. E la legge talvolta ci impone di essere severi. Ma nessuno di noi si diverte a incarcerare la
gente. Se qualcuno lo facesse, sarebbe indegno della propria funzione”.

Noi abbiamo dichiarato in tutte le sedi, anche istituzionali, che facciamo e faremo il tifo civile
per i giudici, in nome della legge e nel rispetto di ogni garanzia, naturalmente. Voi sentite, al
di là del codice, questa tensione o aspettativa, sempre secondo la legge?
Si. Affermare il contrario sarebbe un’ipocrisia infantile. In questo momento l’appoggio
dell’opinione pubblica è importante, perché il nostro lavoro è duro, e la nostra indipendenza è
insidiata. Questa è una buona occasione per dimostrare che l’autonomia della Magistratura non è
una libidine di potere, ma una garanzia dei cittadini di fronte all’invadenza dell’illegalità. I cittadini
lo hanno intuito, e stanno dalla nostra parte”.
Abbiamo la sensazione che a Milano, come a Venezia, come a Vicenza, corriate dei rischi
anche oscuri. E’sereno il vostro lavoro?
“Rischi fisici non credo ne corriamo. Per due ragioni. La prima, è che un attentato contro uno di noi
sarebbe estremamente controproducente; se lo immagina cosa accadrebbe se qualcuno facesse fuori
Di Pietro? La seconda è che, al punto dove siamo arrivati, gli atti parlano da soli. Una nostra
prematura scomparsa rallenterebbe l’inchiesta per qualche giorno, ma poi riprenderebbe con
maggior vigore di prima. Qualsiasi Magistrato sarebbe in grado di sostituirci, facilmente e
degnamente. I rischi di altro genere, quelli indubbiamente ci sono. Dobbiamo aspettarci
insinuazioni, pettegolezzi, diffamazioni meschine. Qualche avvisaglia a Milano c’è già stata. Ho già
detto a mia moglie di tenersi pronta. E lei si è fatta una bella risata”!
Lei si è occupato di terrorismo e di sequestri. E’dunque stato in prima linea con sfide di
prim’ordine. Oggi, la trincea giudiziaria è di tutt’altro genere, ma non meno decisiva agli
occhi dell’opinione pubblica. Un magistrato come affronta questo momento?
“Beh, siamo consapevoli che stiamo giocando una partita importante. Ai tempi del terrorismo era in
gioco la libertà delle istituzioni: ci siamo battuti con coraggio, ed è andata bene. Nel periodo buio
dei sequestri di persona era in gioco la libertà individuale; anche lì, almeno per quanto riguarda il
Veneto, abbiamo conseguito risultati molto soddisfacenti. Ora è in gioco, tra le altre cose, la libertà
dell’economia. Speriamo di essere altrettanto fortunati”.
Lei, nelle cronache, viene dipinto come un intellettuale liberale amante di Voltaire, Hegel,
Pascal, Beethoven: la corruzione, certi personaggi, a nostro avviso senza reputazione politica,
un giudice di cultura, come li affronta?
“Lei è molto gentile. Liberale lo sono sempre stato e i personaggi che lei ha citato sono assieme a
Rembrandt, Shakespeare e Bach, i miei grandi amori intellettuali. Ma non credo che questo interessi
i lettori. Però forse interessa gli inquisiti. Nessuno di loro potrà crearsi un alibi di un inquisitore
fazioso o partigiano. A suo tempo ho anche votato per il partito di uno di loro, e in circostanze
analoghe lo rifarei. Ma alcuni protagonisti di questo processo ne sembrano sorpresi: sono io
sorpreso di tanta puerilità. Per quanto concerne “gli indagati”, sarebbe improprio se parlassi di loro.
In linea generale comunque, credo che i politici manchino di umiltà; e credo anche che non stiano
comprendendo le tensioni che si stanno creando. E’un difetto che i popoli hanno sempre pagato a
caro prezzo”.
Salvarani, Casson, Nordio: voi date l’impressione di essere tre giuristi diversissimi, ma molto
coordinati. Perché?
Diversi lo siamo di sicuro, e sotto molti profili. Il fatto che siamo perfettamente coordinati è la
riprova che l’affermazione della legge prescinde dalle opinioni personali”.
Voi giudici siete accusati di aver costruito un teorema accusatorio e di procedere
ideologicamente da quello.
“Intanto occorre tener conto che c’è una certa riservatezza nelle notizie che riguardano l’inchiesta.
Ma con estrema chiarezza va detto che noi non siamo partiti da idee preconcette, elaboriamo
deduzioni ricavate da fatti oggettivi. E’ vero che nell’ordinanza del mio collega viene inquadrata
subito in premessa – come una sorta di preambolo – la divisione di poteri e di tangenti; è vero

altresì che, ad una lettura in buona fede e al riparo da evidenti forzature in malafede, appare
lampante come quel preambolo derivi dai fatti, non questi da quello. In sostanza, quel preambolo
con relativo cascame logico ed economico risulta esclusivamente da riscontri di una spartizione per
percentuali. Chiunque lo capisce benissimo dall’ordinanza”.
Non ci sarebbe corruzione senza pubblico ufficiale. Sulla vostra strada incontrate, come già a
Milano, l’ostacolo di una definizione incontrovertibile della figura del pubblico ufficiale.
“Completerei la domanda: pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. Già a Milano la
questione è stata risolta; e non è vero che la Cassazione abbia modificato in senso restrittivo la
giurisprudenza. Ma, proprio perché viviamo in un regime economico liberale imperfetto, esiste
incertezza su alcuni enti che hanno scopi economici, strutture economiche, normativa privata e per
tutto il resto natura pubblica. Ad esempio, la Società Autostrade è una Spa, ha come scopi un
risultato sociale, un utile di impresa, l’espressione di libera imprenditorialità, risponde agli azionisti
e al Consiglio di Amministrazione. Se non che, il Consiglio di amministrazione è tutto di nomina
rigorosamente politica, alcuni democristiani, alcuni socialisti, alcuni della Casse di Risparmio che a
loro volta sono di nomina politica. Realtà dunque formalmente private ma sostanzialmente
pubbliche, perché le finalità, i finanziamenti e le nomine sono pubblici. In questo contesto, l’aspetto
formale diventa, sotto ogni altro profilo, pubblico. E del resto le sezioni unite della Cassazione,
nell’ambito di una vertenza civile, hanno dato ragione a noi. Nonostante l’ibridismo del regime di
alcuni enti, anche qui noi ci sentiamo tranquilli”.
Un sacco di gente interessata pensa che, all’italiana, andrete in vacanza e che, tra un Appello e
una Cassazione, alla fine non succederà nulla.
“Le mie vacanze sono già state rivedute e ridotte. Quelle del collega Salvarani, praticamente
annullate. Per quanto riguarda il futuro, credo che il problema sia prematuro: abbiamo già molte
difficoltà nell’affrontare il presente. Ad ogni modo, per quanto mi riguarda, la risposta è semplice:
faremo quanto dovrà essere fatto”.