1992 aprile 4 – I ragazzi del 1992

1992 aprile 4 – I ragazzi del 1992

324.805 nel Veneto, 79.358 in Friuli-Venezia Giulia, 65.831 in Trentino-Alto Adige. Sono i ragazzi
che votano per la prima volta alle politiche; i ragazzi del 1992. In una società che registra la crescita
zero per progressivo decremento della natalità, questi ragazzi sono più preziosi che in qualsiasi altra
epoca. Segnano anche, in un tempo post ideologico, lo stato nascente di una cultura sconosciuta,
quindi di libertà reali che vanno riempite di contenuti.
Durante una trasmissione televisiva, u ragazzo ha detto: tutti fanno grandi analisi su di noi, ma quasi
mai vengono a chiederci la nostra opinione. Quel ragazzo aveva perfettamente ragione. Spesso i
giovani sono idoli costruiti dagli adulti, che guardano al nuovo con occhi vecchi.
Una lettrice ci ha domandato l’altro ieri al telefono perché mai continuiamo a sperare nei ragazzi,
visto che soprattutto negli ultimi tempi occupano le nostre prime pagine con delitti degni della
tragedia di Eschilo. Orfani di ricette a buon mercato, le abbiamo risposto con le parole di David Maria
Turoldo: forse sono proprio loro l’estrema, terribile incarnazione di modelli apparentemente innocui
ma profondamente sbagliati. E abbiamo aggiunto che, in ogni caso, nessuno ha la possibilità di
scegliersi le generazioni; non c’è nulla di più patetico dell’orgoglio di chi si nega alla scoperta, alla
curiosità e alla fatica del domani.
Quando la politica stanca il cittadino, a maggior ragione si separa dai ragazzi. Che la ripagano con lo
scetticismo e la disillusione. Non scappano via, anzi tentano di capire, diradando il nebbione del
politicume, ma si sentono istintivamente all’opposizione. I più sono “contro”; e anche chi tra loro si
muove all’interno del sistema, lo fa inseguendo il sogno di cambiarlo.
Così come si manifesta, la partitocrazia appare decrepita. Non coltiva il ricambio, non trasferisce ai
ragazzi il gusto di contare qualcosa nelle scelte della società. Avendoli ricoperti di confort e di beni
di consumo, abbiamo deciso che non avessero altro da pretendere e da chiedere.
Ci siamo tutti dimenticati di una legge ferrea della democrazia, secondo la quale i progressi
alimentano automaticamente nuove esigenze. Come insegnò un grande pensatore francese, Alexis de
Tocqueville, anche le diseguaglianze diventano sempre più intollerabili mano a mano che
diminuiscono. Più si realizza, più la democrazia suscita il senso critico; il metodo della ragione non
risparmia neppure se stesso, è un processo senza fine che sta alla base del nostro dubbioso cammino
di uomini.
L’Italia non è un caso a se stante. Ovunque cresce la domanda di trasformazione, sotto la spinta di un
consenso popolare sempre più mobile.
La prossima settimana si vota anche in Inghilterra: i sondaggi assicurano che almeno dieci milioni di
inglesi sono ancora incerti. In Francia il presidente Mitterrand, “disperatamente tranquillo” tra una
partita di golf e una crisi tra le più difficili, ha con rapidità fatto saltare il suo governo e ne ha insediato
uno nuovo di zecca. E l’esordio del primo ministro Berégovoy è stato questo: “Voglio un’equipe
rinnovata e più giovane”.
I ragazzi del 1992 sono in Italia le avanguardie del bisogno di riforme. Rappresentano a pieno titolo
le attese dell’intero Paese, soprattutto quando vorrebbero volentieri lasciarsi convincere –dagli
esempi non dalle prediche – che la politica può essere una virtù, che il potere non è sinonimo di
ruberia, che la partecipazione civile è qualcosa di molto diverso da una società per azioni.
Se è vero che si sta avviando una fase costituente della politica italiana, giocano insieme la
responsabilità e il coraggio. I ragazzi del 1992 arrivano al voto senza che la classe dirigente si sia
preoccupata di alimentare tanto la prima quanto il secondo, ma questo è un momento speciale in cui
tutti senza eccezione dobbiamo scommettere. Per non recriminare domani.