1992 aprile 12 – Quei cattolici…

1992 aprile 12 – Quei cattolici…

Lo dicono tutti. I partiti si stanno interrogando. Grosso modo con due atteggiamenti: chi va a caccia
di colpevoli per scaricare le responsabilità; chi fa mea culpa per tentare di capire.
Soprattutto la Dc è sconvolta da questa scomoda penitenza perché resta il partito di maggioranza, il
riferimento di governo, la quarantennale continuità, e ha sofferto la ferita più profonda. Sia in termini
quantitativi che qualitativi; ha perso molto nel Nord del benessere, al confine con l’Europa.
Ma spunta anche una questione cattolica nella questione democristiana. E sta smuovendo una grande
riflessione sia a livello di gerarchia che di base, perché la base leghista ha pescato a man bassa proprio
nella stessa base cattolica della Dc.
Prima del voto, prevalse con reiterati appelli del cardinale Ruini il richiamo all’unità. Il leghismo fu
oggetto di una emarginazione a volte larvata a volte esplicita, che sfiorava la criminalizzazione.
Di fronte al risultato, la Chiesa riparte da zero con un quesito senza precedenti: asserragliarsi dietro
a una strategia perdente o ricuperare in qualche modo questo clamoroso neo-pluralismo cattolico?
Il problema è sempre stato latente nella democrazia italiana ma oggi è esploso di colpo con il voto
alle leghe. L’unità dei cattolici non ha tenuto a contatto con il voto di coscienza finalmente liberato
dall’incubo del comunismo, quindi dal complesso della diga. Non ha tenuto nemmeno davanti alla
crescente tendenza a privilegiare il candidato sul simbolo, soprattutto in una vasta area laica. Vedi, a
Treviso e Padova, i casi molto istruttivi di Benetton e di Muraro: entrambi sono riusciti, per sola
caratura personale, a migliorare di parecchi punti percentuali il risultato del Pri al Senato.
Non si vede come la Chiesa possa sfuggire a un profondo ripensamento. Dal punto di vista cattolico,
un elettore non potrà più essere politicamente virtuoso soltanto se vota Dc; estraneo agli stessi valori
di riferimento se guarda alla Lega.
Un bel rebus, anche perché la protesta di massa inalbera la questione morale e una maggiore anche
se disordinata domanda di trasparenza. Contesta inoltre gli apparati e la filosofia della tangente che,
nella percezione pubblica, è sentita oramai come una tassa impropria, quasi un balzello partitocratico,
il simbolo più odioso di quell’economia parassitaria particolarmente detestata al Nord.
Si rimette in gioco davvero tuto. I cattolici nella Dc, i giovani nella politica, gli imprenditori nei
partiti. Una ventata di aria fresca, che proprio ci voleva anche a costo di dover affrontare una fase di
turbolenza istituzionale. Ma è proprio in questi momenti che si misura la statura dei politici, la vitalità
dei partiti, la flessibilità del sistema.
Non è poi detto che la protesta abbia toccato il tetto il 5 aprile.
Se perdurasse l’immobilismo degli ultimi anni, può succedere di tutto. Sintomatico che ario Segni,
leader dei 150 parlamentari del Pato referendario per le riforme, non abbia perso nemmeno un minuto
per farsi avanti.