1992 agosto 8 De Michelis e Bernini

1992 agosto 8 – De Michelis e Bernini

All’alba di mercoledì, prima della votazione per la Giunta di Venezia, il consigliere comunale del
Psi Gianni De Michelis era intervenuto per ribadire che “Venezia non è tangentopoli”. De Michelis
ha sempre respinto le accuse contenute nelle 18 cartelle dattiloscritte inviate al Parlamento dai
giudici Salvarani e Nordio per richiedere l’autorizzazione a procedere contro di lui e contro il
senatore Carlo Bernini, dc. A suo dire, le argomentazioni dei magistrati, sono teoremi o fantasie; le
tangenti non esistono; lui e Bernini non si sono spartiti un bel nulla, né per il partito né per le
rispettive correnti né per sé.
Nella nostra palese ingenuità immaginavamo perciò che ieri pomeriggio a Treviso, esattamente alle
17 e 20 davanti al carcere di Santa Bona, ci sarebbe stato De Michelis ad attendere all’uscita
Giorgio Casadei, da una vita suo segretario personale, uomo di fiducia, attivissimo organizzatore
del gruppo demichelisiano. Ad attenderlo, beninteso, non per salutare il vecchio amico di tante
battaglie politiche, ma per prendere a sberle il collaboratore infedele, uno che per proprio conto,
all’oscuro del leader “totalmente estraneo ai fatti”, ne ha combinate peggio di Bertoldo come risulta
dalle deposizioni di numerosi costruttori e da una mole di intercettazioni. Non è andata così, a Santa
Bona De Michelis non s’è visto. Peccato, la sua reazione continua a stupire. Invece di ripudiare
Casadei che l’ha tradito spendendo letteralmente il suo nome, De Michelis se la prende con i giudici
che lo accusano di corruzione continuata in concorso e di finanziamento occulto del partito proprio
perché ritengono Casadei suo personalissimo “tramite”.
Insomma, non soltanto De Michelis accusa i magistrati di inventare teoremi ma ne confeziona uno
di molto curioso. Se gli appaltatori pagavano, lui non ne sapeva nulla; nella peggiore delle ipotesi,
Casadei riteneva che fossero oboli spontanei. Forse, chissà, per sostenere il Psi che proprio
quest’anno celebra i cento anni di vita e che, ancora nel 1953, si presentava in campagna elettorale
come “il partito dei poveri..”
Del resto, come dar torto a De Michelis per tanta sottovalutazione dell’intelligenza altrui quando
Craxi ne premia l’avviso di garanzia con la nomina a vicesegretario nazionale e vicario del Psi? Se
cento anni di tradizione socialista possono condurre a tante celebrazioni, gli autentici socialisti
avranno di che meditare prima che sia troppo tardi per il destino dell’intero movimento riformista.
De Michelis e lo stesso Bernini portano gli avvisi per corruzione con la disinvoltura da sfilata delle
modelle di Armani e Valentino. Senza una piega; in attesa degli sviluppi giudiziari non mollano di
un centimetro nemmeno per elementare cautela politica pari alla gravità delle accuse.
Il sen. Bernini imperversa a Treviso come se niente fosse. Nella veste di segretario del comitato
cittadino della Dc, tratta la formazione della nuova giunta predicando in conferenza stampa che “la
Dc non si muove certo, come dicono alcuni, con l’obiettivo della conservazione del potere ma
invece per il senso di responsabilità che ha sempre guidato il partito”. Anche i sinceri democratici
cristiani, figli di un’altra grande tradizione popolare, hanno di che riflettere sul partito, sulle tessere,
sulle correnti, sulla raggelante assuefazione al potere.
Ha scritto ieri il settimanale inglese “Economist” che “né il segretario socialista Craxi né i grandi
anziani della Dc hanno manifestato alcuna propensione a fare posto agli altri” e che “i massimi
esponenti politici italiani si stanno aggrappando a troni in disgregazione”. Segnaliamo il giudizio
all’ex-ministro degli esteri, De Michelis, e al propugnatore di Alpe Adria, Bernini.
Tra una tangente e l’altra, l’Europa ci guarda di traverso.