1991 ottobre 4 Nuova regione in nuovo stato

Testata: GAZZETTINO
Edizione: PG
Pagina: 1
Data: 04/10/1991
Autore: Giorgio Lago
Tipo: INSERTI
Argomento: REGIONI
Persone:
Didascalia:
Descrizione:
Titolo: NUOVA REGIONE IN NUOVO STATO. A Venezia oggi e domani (presente Cossiga, a
sottolineare l’importanza dell’avvenimento) il vertice di tutte le regioni
di Giorgio Lago

Siamo tutti d’accordo su due analisi. La prima: la reputazione della politica ha toccato l’indice più
basso della storia repubblicana. La seconda: la crescita economica non ha determinato un parallelo
sviluppo dei servizi. Ne derivano confusione, sfiducia, rancore, assieme alla perentoria voglia di
cambiare. Le regioni possono rappresentare la grande riforma. Per riabilitare le Istituzioni; per
rigenerare il consenso dei cittadini. Nessuna retorica in tutto ciò, né tantomeno la corsa alla
dispersione o, peggio, agli egoismi di nuove, avide burocrazie locali. L’autonomia o conserva un
profilo alto o decade nella spartizione del potere. In questo senso ha ragione da vendere il presidente
del Friuli Venezia Giulia, Adriano Biasutti, quando invita a non indebolire la specialità delle regioni di
confine ma di potenziare sensibilmente il ruolo di quelle ordinarie. Il regionalismo è tuttora
incompiuto; la Costituzione non è mai stata applicata a cominciare dagli articoli 117, 118, 119. Anzi,
più si parla in questi anni di autonomia legislativa e finanziaria delle regioni, più si assiste al ritorno in
grande stile di un neocentralismo controllato dai partiti e dalle lobby parassitarie. A questo
neocentralismo controllato dai partiti e dalle lobby parassitarie. A questo punto nessuno ha più
l’impudenza di sostenere che regioni più forti significano Stato più debole. È vero il contrario: soltanto
la svolta regionale ridarà efficienza e credibilità allo Stato. «Nuova regione in nuovo Stato», appunto.
Il nostro secolo ha segnato la fine della statolatria. Lo Stato come destino dell’uomo è scomparso in
tutte le sue versioni totalitarie. Ma oggi, nella complessità dei paesi industrializzati, è entrato in crisi lo
stesso Stato democratico quando, per cattiva politica o per vizio burocratico, non riesce ad avvicinare le
decisioni e la responsabilità ai cittadini. Puntare sulle regioni vuol dire soprattutto modernizzare e
ripensare lo Stato. Se così non sarà, avremo a che fare con un nuovo bluff istituzionale. Soprattutto la
borghesia ha avuto nel tardo dopoguerra la colpa di contribuire all’impoverimento del ceto politico,
quando ha insegnato ai propri figli che la politica era nella migliore delle ipotesi una perdita di tempo e
nella peggiore una cosa sporca. Soltanto in sede storica potrà essere misurata questa spinta al

qualunquismo, ma oggi si sta finalmente comprendendo che senza la restaurazione della dignità della
politica cioè del raccordo degli interessi particolari all’interesse generale non può che prevalere
brutalmente la gestione dei potentati, dei clan, delle oligarchie, degli affaristi. Nemmeno con il
regionalismo dobbiamo scadere in quella che il sociologo Scanagatta chiama «la democrazia della
banalità». Certo autonomismo sembra destinato a rinchiudersi su sé stesso piuttosto che a dare ossigeno
a tutte le potenzialità di un Paese che, come insiste a ricordare Spadolini, conta su un’unità linguistica
rara in Europa. L’autonomia non ha bisogno di ideologia. È uno strumento per rivitalizzare il
consenso, per migliorare il servizio ai cittadini, per entrare con coerenza in Europa. Un’Europa che di
colpo non è più la stessa, tanto da aver quasi rimpicciolito l’idea della Cee nell’impatto con l’Est del
postcomunismo. In questa Europa allo stato nascente, s’intuisce il declino dei vecchi Stati e l’emergere
di nuove autonomie. Nulla sarà facile, ma è questa la sfida che ci tocca.

ottobre 1991