1991 marzo 25 Per il cambiamento, ma sopra le parti

1991 marzo 25 – Per il cambiamento, ma sopra le parti
Magari fosse davvero la fine della Prima Repubblica. Magari fosse già cominciata la Seconda,
rifondata come accadde alla Francia dopo le devastazioni della partitocrazia. Magari i partiti si fossero
responsabilmente raccordati alla opinione pubblica, favorendo un sistema meno frammentato, governi
più efficienti, un Parlamento più selezionato, Regioni più forti, uno Stato meno cafone nei confronti del
cittadino. Coscienza di una Sicilia che non si arrende, Leonardo Sciascia ammonì qualche anno fa, con
evidente anticipo: «È l’Italia che si sta sicilianizzando». Magari questo Stato avesse intuito quanta
sfiducia e quale rancore spurgavano sotto lo smalto dei progressi economici e dell’intraprendenza del
«made in Italy». È stato Spadolini a ricordare recentemente un giudizio di Aldo Moro: «Anche nel
crescere si può morire». La Prima Repubblica è morta, ma il Palazzo non se ne avvede. Anzi, in queste
ore celebra i suoi «giochi» e i suoi «scherzi» – i termini sono dello stesso Capo dello Stato – con la
pretesa di stare dalla parte della gente! No, nessuno può oggi parlare in nome del Paese nella sua unità,
nemmeno il Quirinale e questo è il guasto dei guasti, l’ultimo anello della più grave crisi istituzionale
del dopoguerra. Pochi politici erano identificabili quanto Sandro Pertini, fino al settarismo. Eppure,
quando nel 1978 si presentò al Parlamento per il messaggio d’investitura presidenziale, avvertì il
bisogno quasi di scusarsi voltando pagina: «Ma da oggi – disse con un “ma” avversativo che archiviava
un’intera vita di militanza – io cesserò di essere uomo di parte». Per dimostrare subito che cosa
intendesse, si rivolse a un ex-Presidente della Repubblica che aveva pagato dieci volte tanto in nome di
certo canaglismo all’italiana sempre pronto, assieme alle doverose sanzioni istituzionali, a infliggere
anche la vendetta dell’emarginazione personale. «Il mio saluto al senatore Giovanni Leone, che oggi
vive in amara solitudine», sottolineò quel giorno Pertini senza ricevere applausi. Nulla, mai, zero,
aveva unito Pertini a Leone ma era finalmente giunto il momento dell’imparzialità, solenne quanto la
circostanza. Le persone schiette sono sempre preferibili ai sepolcri imbiancati, le scomode alle
opportuniste, le anticonformiste alle benpensanti. Se valeva per Pertini; deve valere anche per Cossiga,
persino quando corre involontariamente il rischio di banalizzare anche la loggia P2, affaristica e anti-
Stato quanto la mafia. Fatta salva la buonafede, il garante delle regole della Repubblica non può mai
diventare il destabilizzatore del clima politico. Nonostante le migliori intenzioni, un Presidente eletto al
primo scrutinio e praticamente all’unanimità da questo Parlamento non può rivoltarglisi contro con i
toni di un Bossi. Non è una questione banalmente di forma: per la grande considerazione che si deve
sia alla funzione che alla persona, diventa alla stessa stregua importante cosa dice il Capo dello Stato,
dove, come, quando lo dice. Non basta condividere i giudizi di Cossiga sulla politica italiana, della
quale è peraltro egli stesso da decenni protagonista. Bisogna interrogarsi sugli strumenti e sui modi
scelti per esternare ora le opinioni personali ora i poteri formali; chiedersi anche se essi sono
legittimamente utili a guarire le Istituzioni dal virus dell’estraneità rispetto al Paese, in particolare ai
giovani.
Noi crediamo che mai come oggi sarebbe necessaria una presenza ferma, pacata, estranea alla bagarre,
costituzionalmente inconfutabile, che ponesse il Quirinale a disposizione tanto della maggioranza
quanto dell’opposizione per favorire tutto ciò che unisce nella riforma del sistema. Accade al contrario,
con molta probabilità inconsapevolmente, che il Quirinale introduca nel sistema ulteriori elementi di
divisione attraverso un’immagine turbata, televisivamente emotiva, dinanzi a problemi che pur sono da
tempo sotto gli occhi di tutti gli italiani. Se questo fosse poi un indizio della tanto vagheggiata
Repubblica Presidenziale, noi saremmo abbastanza preoccupati. Tanto più quando si osserva che in
queste ore i meno preoccupati, e occasionalmente più «rispettosi» verso il Quirinale, sono i socialisti.

Quando, con la formulazione più aspra, Cossiga ha tenuto a rivendicare che in caso di contrasto fra
Capo dello Stato e Presidente del Consiglio «il primo resta e il secondo se ne va»; è possibile che Craxi
abbia in qualche modo pregustato un assaggio di presidenza forte, eletta direttamente dal popolo,
secondo il progetto del Psi. Se una carica tenuta alla conciliazione nazionale entra nella mischia
politica, i rischi sono più d’uno a dispetto degli obiettivi. Esagerazione chiama esagerazione mettendo a
dura prova anche l’esercizio della critica che proprio la più grande democrazia d’Occidente, vale a dire
gli Stati Uniti, tutela come bene primario e «cane da guardia» delle istituzioni anche se le morde.
Quando nelle istituzioni e nell’informazione si insinua la sindrome dei complotti o della persecuzione,
la notte della Repubblica si fa presto fonda. Tra il Cossiga ultra riservato dei primi anni e il Cossiga
ultra esternato degli ultimi due, noi auspichiamo ancora fino a luglio 1992 il terzo Cossiga: del ricupero
dell’unità nazionale. Sopra le parti, per il cambiamento, unica svolta che sta veramente a cuore
all’intero Paese.
25 marzo 1991