1989 giugno 4 Irreversibile

1989 giugno 4 – Irreversibile
Siamo spettatori di un fenomeno impressionante, l’agonia del comunismo. Per autocombustione. Non
c’è luogo al mondo dove, trascinata con sé dal comunismo reale, non vada a pezzi l’utopia di Marx.
L’Occidente ha arricchito la propria cultura dei segni oramai indelebili del marxismo; ma dove il
comunismo lo ha elevato a Sistema leninista, il nuovo dio è fallito. Più ha propagandato la liberazione
dell’uomo, più l’ha piegata allo Stato; più ha cantato la fine dello sfruttamento, più ha privilegiato gli
apparati; più ha pianificato l’economia, più la burocrazia vi ha costruito sopra il sottosviluppo.
Nell’epoca che si dilata alla comunicazione e all’interdipendenza, il comunismo ha perso la partita con
la democrazia: le ruba anche il linguaggio: “libertà”, “riforme”, “parlamento”, “possibilità di far sentire
la voce” cioè glasnost, desiderio di “ricostruire” cioè perestroika. Gli stessi comunisti italiani si vedono
costretti a saccheggiare alla svelta valori della cultura socialista, verde, laica. Da qualunque punto di
vista, ideologico o politico o culturale, è molto difficile dare oggi una definizione del termine
“comunista”. Del passato sta facendo tabula rasa, al futuro guarda di colpo orfano di storia. Uno
studente cinese aveva detto nei giorni scorsi di sognare una “rivoluzione dolce”. Quella che sta
tentando Gorbaciov e che l’effetto-Gorbaciov ha esteso ai Paesi dell’est non la rivoluzione di piazza
Tienanmen, ma la ristrutturazione del Sistema dosata dall’alto. Nell’uno come nell’altro caso nulla
appare “dolce” perché il comunismo gioca con se stesso una scommessa quasi mortale, spesso
sanguinosa: riuscire a dominare il flusso di libertà; far convivere il dogma del potere con
l’informazione di massa. A Mosca, più ancora che a Pechino, accadono cose straordinarie e nessuno in
Occidente era preparato a un’evoluzione dai tempi tanto incalzanti. Un filone sommerso di protesta ha
espresso Gorbaciov, ma Gorbaciov più intacca il Potere più ha bisogno di potere. Il suo dinamismo cela
l’enormità degli ostacoli da superare per rendere “irreversibile” il cambiamento: non una prova di
forza, bensì un calcolo politico ai limiti della temerarietà. Quasi cento milioni di sovietici hanno
assistito, per giorni e giorni in televisione, alla prima sessione del nuovo Parlamento, il primo che in 70
anni in Urss abbia almeno parentela con la democrazia pluralista. Hanno visto e sentito di tutto. Anche
un deputato che chiama “assassino” il generale comandante della regione militare transcaucasica; o un
altro che mette a nudo un autentico tabu collettivo come il sinistro Kgb; o il primo segretario del Partito
comunista di Novosibirsk che elogia Stolypin, primo ministro riformista dello zar Nicola II. Più ancora
di Eltsin che attacca la “dittatura” di Gorbaciov o di Sakharov che accusa l’Armata Rossa, è questo
magma collettivo a gonfiare l’Urss e a interrogarla dopo decenni di gelo, silenzio e gulag. Si formano
commissioni d’inchiesta, si fruga negli archivi dello stalinismo, si pubblicano i conti finora ignoti della
spesa militare. La cronaca sembra già storia ed è una storia tutta aperta con un solo dato irreversibile: il
fallimento del Sistema, l’ammaina-bandiera del mito internazionalista, la ratifica a posteriori di verità
che fino all’altro ieri erano liquidate come “propaganda” capitalista. Al parlamento di Mosca, nella
strage di Pechino o nelle urne di Varsavia, il comunismo celebra oggi la sua sconfitta. E, anche la sua
terribile paura di libertà.
4 giugno 1989