1988 novembre 04 Ma la droga non è laica

1988 novembre 04 – Ma la droga non è laica
La droga è un mercato; qualsiasi mercato si basa su una domanda e un’offerta; per ridurre o stroncare
quel mercato, serve intervenire tanto sull’offerta quanto sulla domanda. Dove sia dunque lo scandalo
nello stabilire per legge che anche l’uso personale di droga è «illecito» e studiare forme di
«dissuasione» a carico dei tossicodipendenti?
La droga non conta soltanto i suoi morti, al ritmo di due al giorno dall’inizio dell’anno. A questo
bollettino nudo e crudo s’accompagnano il dramma di migliaia di famiglie, la recrudescenza dei reati,
una mina vagante nel delicatissimo mondo della formazione dei giovani.
Di più, la droga ha trasformato l’organizzazione del crimine, rendendolo più potente e soprattutto più
devastante sul piano sociale. Il fatturato della droga consente l’inquinamento su vasta scala di denaro
sporco, tale da alterare artificiosamente non soltanto qualche fortuna personale ma persino rapporti
finanziari e politici. La droga ammazza i giovani sfruttando gli strumenti della società.
Chi, a qualunque titolo, si occupa e si preoccupa di questo problema merita una stima speciale, perché
non esiste probabilmente dramma contemporaneo che metta altrettanto alla prova lo spirito di servizio.
Dietro la droga non sta soltanto l’infinita fragilità dell’uomo, ma un’industria che di quella fragilità fa
materia prima.
Non esiste, non deve né può esistere un’alternativa fra prevenzione e repressione, perché da sola
nessuna delle due può bastare. Se i colossali ritardi nella prevenzione hanno regalato tempo prezioso ai
piazzisti di morte, un malinteso senso di libertà non ha favorito la mobilitazione.
Qui l’equivoco è molto pericoloso, se ha consentito di porre la libertà di consumare droga fra i diritti
conquistati dal pensiero laico. No, qui non sono in ballo i diritti umani, la libera scelta, il principio di
responsabilità, la realizzazione dell’individuo. Semmai esattamente il contrario della cultura laica, che
per definizione ha sempre posto l’uomo al centro della sua riflessione senza paradisi né teologici né
artificiali.
Consumare droga non è mai stata una conquista laica. E come potrebbe se dietro la droga stanno storie
di emarginazione, di solitudine, di frustrazione, di sfruttamento o di fallimento? Se nella droga si
confessano le paure di tanti ragazzi di fronte ai richiami di una società che spesso si dedica a loro
soltanto per farne fedeli consumatori di beni? Che cosa c’è di laico nell’irrazionalità di un desiderio
mortale?
Non siamo in grado di sentenziare su un argomento tanto lacerante; e rispettiamo chi, in perfetta buona
fede, ritiene che la liberalizzazione della droga rappresenterebbe un’arma decisiva contro la
clandestinità del traffico. Ma proprio il valore laico e cristiano della vita ci impedisce di normalizzare
la droga: è troppo alto il valore etico della libertà per confonderlo con il nichilismo.
Forse abbiamo creato confusione; forse abbiamo depistato l’Sos della comunità; forse ci siamo illusi di
poter dosare il rischio attraverso la modica dose di paura e la modica dose di speranza. Una cosa è fuori
discussione: l’allarme di questi giorni e la volontà di esplorare nuove misure sia nella prevenzione che
nella dissuasione rappresenta un passo in avanti, il tentativo di non arrendersi alla spietata legge del
mercato.

Anche l’esperienza di altri Paesi dimostra che si tratta di una sfida senza precedenti, per la quale non
s’intravvedono né scappatoie né tantomeno miracolismi. Una sfida generazionale sulla quale vanno
investite ingenti risorse umane e materiali, non per mettere le manette alle vittime ma per aiutarle a
liberarsi dell’unico vero carcere, quello dipendenza tossica.
Questa è la prima guerra da vincere o perdere armati insieme di cultura, amore e intransigenza. Ai
giovani non si può offrire in lascito l’eutanasia organizzata.

novembre 1988