1988 marzo 11 Questi comunisti e quel Pci

1988 marzo 11 – Questi comunisti e quel Pci
I comunisti sono infastiditi. «Siamo stufi di fare autocritica», ha protestato Alfredo Reichlin.
Marxisticamente parlando, dovrebbero avere le mani in pasta con la Storia, ma quando si tratta della
loro storia qualche disagio l’han sempre avvertito. Soprattutto ora che – puntuale eco del riformismo di
Gorbaciov – è stato rimesso a nudo anche lo «stalinismo italiano», in particolare le responsabilità di
Palmiro Togliatti nell’ingessare il Pci ai margini della sinistra europea del dopoguerra. Che i comunisti
la considerino una strumentalizzazione, passi; che i socialisti abbiano istruito fin troppo alla svelta il
processo a posteriori, può essere. L’unico atteggiamento incomprensibile è che si possa considerare la
questione una pagliacciata storiografica o un perditempo politico. Qui di sepolto c’è poco o nulla,
perché in quel passato – oltre che chiarirsi le trasformazioni in atto oggi – possono svelarsi gli approdi
di domani. Altro che fastidio e sbrigativa noia: aprire gli archivi, frugando laicamente in ogni
ripostiglio, significa capire perché la presenza di quel Pci (il «fattore K» secondo l’espressione di
Alberto Ronchey) abbia «bloccato» la democrazia italiana e perché la stessa democrazia faccia tuttora
fatica a considerare del tutto credibile questo Pci come alternativa di governo. Non un passaggio che
riguarda i soli comunisti; invece uno snodo di democrazia. In un molto significativo intervento, apparso
ieri su «Repubblica», Achille Occhetto rifiuta l’ostinazione a far rivivere il passato del Pci come «una
colpevole interdizione al futuro». Occhetto sembra dimenticare un importante elemento: tanta
ostinazione forse cela esattamente il contrario, e cioè il bisogno di misurare il Pci fino in fondo anche
sul passato proprio per porre fine all’interdizione da quel passato più che legittimata. La Storia torna ad
essere cronaca non per un artifizio e alla Storia si può chiedere tutto fuorché di non disturbare il
presente. La Storia non ha neppure fretta mentre pare che, a volte, i comunisti italiani la aggiornino con
eccesso di disinvoltura, pretendendo poi di essere lasciati in pace. «Siamo pronti» assicura Occhetto e,
nel ribadire con forza la scelta democratica, intende che il Pci testimoni «la più forte discontinuità
rispetto a tutto il precedente pensiero della rivoluzione, sia esso borghese, giacobino o bolscevico». Ma
lo strappo di Berlinguer da Mosca è appena di ieri e così pure la rinuncia alla Rivoluzione d’Ottobre
quale modello. La «doppiezza» togliattiana, lungi dall’esaurirsi in se stessa, favorì una tradizione che
soltanto ora il Pci sta esorcizzando, «errore» dietro errore: l’avversione all’Europa, l’incomprensione
della democrazia americana, i mille allineamenti al Cremlino, l’insofferenza verso l’economia di
mercato, la concezione leninista del partito, l’idea del sindacato quale cinghia di trasmissione del
partito. Se – come rivendica Occhetto – Alcide De Gasperi non è stato «l’unico padre di questa
democrazia», poco ci è mancato. Perché a quell’unico termine di democrazia, De Gasperi e Togliatti
attribuivano significati tanto diversi che nei suoi comizi di 40 anni fa il leader trentino poteva ripetere
su ogni piazza: «I comunisti non sono al governo semplicemente perché non sono sinceramente
democratici». Con tante sue inadempienze ma con tutta la sua poderosa crescita, questa democrazia –
non altre di altri modelli – ha consentito all’intera sinistra italiana di sbarazzarsi di due autentici
scheletri: lo stalinismo comunista e il massimalismo socialista. Su questo piano, Craxi ha le carte in
regola: dopo aver sostituito la falce e il martello con il garofano e trascinato il Psi ben dentro la
socialdemocrazia europea, può anche incalzare il Pci su temi tanto imbarazzanti quanto produttivi.
Lasciamo pure la Storia agli storici e le abiure ai polemisti. Perché il passato sia «davvero e
radicalmente alle spalle» dei comunisti – come garantisce Occhetto e non c’è motivo di non credergli –
occorre in ogni caso che la «novità» del Pci risulti liberata da ogni compromesso. Inutile giocare sulle
parole: scegliendo per sempre questa democrazia, il Pci sconfessa gran parte della sua ideologia e della
sua storia. Ma solo a patto che ne sia coraggiosamente consapevole, la questione-Togliatti diventa
simbolo di un travaglio di partito forse giunto all’ultima fase, la più attesa. Dopo averli convertiti,

questa democrazia non potrà ancora a lungo permettersi il lusso di considerare i comunisti oppositori a
vita.
11 marzo 1988