1988 gennaio 6 Non è una bottega

1988 gennaio 6 – Non è una bottega
Occorre ripeterlo con forza: Venezia non è un caso veneziano né veneto; è molto più che una questione
italiana. Nessuno sogna di farne una New York economica o una Parigi mondana, come l’ha definita
Alvise Zorzi riferendosi al secolo di massimo splendore della Serenissima, quando la Città contava su
centocinquantamila abitanti. Si pretende, senza esitazione, di salvaguardarla quale bene demaniale del
mondo.
Come? Ponendola al riparo dalle alte acque e medie, incentivazione a tutti i costi di ripopolamento,
risanando la laguna perché senza «ambiente» non ci sarà Venezia.
L’impresa è colossale, ma ha superato la fase propedeutica. Il «progetto Venezia» sta in una legge dello
Stato, la numero 798 del 1984; la realizzazione del progetto è affidata in concessione a un Consorzio di
imprese private.
La realizzazione va intesa in senso unitario, non a brandelli, perché Venezia non sarà mai un puzzle
bensì la Città per definizione integrata. Non solo: esiste una data entro la quale il Governo ritiene che i
lavori debbano essere terminati, il 1995.
Sette anni sembrano molti, in realtà sono pochi per due buonissime ragioni. Perché l’unicità di Venezia
impone soluzioni nuove, mai sperimentate in un habitat che almeno assomigli. Perché né la politica né
la burocrazia – sia veneziana che regionale e nazionale – nutrono a sufficienza il senso della calamità:
le acque alte, lo spopolamento, l’anarchia lagunare non sono più un pericolo. Sono una calamità.
Gli organismi ci sono, come pure l’«alta autorità». L’indirizzo e il coordinamento degli interventi
vengono infatti affidati a un Comitato Interministeriale che sulla carta è un’autentica corazzata:
composto com’è dal presidente del Consiglio, dal ministro dei Lavori pubblici, dal ministro dei Beni
culturali, dal ministro della Ricerca scientifica, dal presidente della giunta del Veneto, dai sindaci dei
comuni di Venezia e Chioggia, da due rappresentati degli altri comuni della gronda lagunare mentre il
magistrato alle acque funge da segretario.
Se poi guardiamo a come procedono le cose, si scopre che nessuno – proprio nessuno – degli organi
istituzionalmente chiamati a questo hanno ancora espresso il parere sul piano generazionale degli
interventi «proposti» dal Consorzio per poter disporre un minimo di programmazione. La proposta è
stata presentata nove mesi fa.
E’ offensivo per Venezia semplificare oggi il problema a Visentini-sì o Visentini-no. Per quanto il suo
prestigio sia di una spanna superiore alla mischia, nemmeno l’altero «professione» potrà dirsi al riparo
dai franchi tiratori di più colori, tanto da non essere pensabile che si avvii a governare per due anni e
mezzo senza un qualche accordo-garanzia con i comunisti. Ma soprattutto è inimmaginabile che
Visentini o altri riescano ad accelerare la salvaguardia cui ha diritto Venezia se l’intero ceto politico
non prenderà drammaticamente coscienza che le opere vanno fatte. D’intesa con il consiglio comunale,
ma vanno fatte.
Che cioè la linea Maginot tra ambientalisti e presunti cementisti non può essere rappresentata da poche
decine di miliardi per il consolidamento dei fondali. Che i nodi da sciogliere, davvero decisivi, sono il
coordinamento tra interventi del Consorzio e della Regione oltre che un severissimo controllo di
qualità, in pratica la rispondenza degli interventi agli obbiettivi.

Venezia è una sfida del secolo, ma non la bottega degli appalti.

gennaio 1988