1988 dicembre 10 Lo choc in prima pagina

1988 dicembre 10 – Lo choc in prima pagina
Durante un incontro al seminario teologico di Vicenza, un giovane ci ha chiesto: perché giornali e
televisione hanno dedicato poco spazio al tifone che ha sconvolto la scorsa settimana il Bangladesh?
Non abbiamo saputo che rispondere così: perché anche la morte ha due pesi e due misure.
Tra i Paesi più poveri del mondo, il Bangladesh ha la più alta densità demografica, con ottocento
abitanti per chilometro quadrato. Qui la calamità non si conta a persona si misura a ettaro; la sua
dimensione confonde i numeri, dilaga come i grandi fiumi himalaiani incattiviti dai monsoni. A
settembre, una inondazione provocò ventotto milioni di senza tetto; troppi anche per un’astrazione.
L’ultimo Sud del mondo non fa quasi più notizia nemmeno a sei zeri; vita e morte di milioni di uomini
di uomini transitano sulle nostre pagine e nei telegiornali come cronache annunciate, di routine.
L’informazione è nostra; la tragedia è loro. Nelle società che divorano notizie, si può produrre
indifferenza da notizia.
Si corre lo stesso rischio anche con l’Armenia, che già ci stava «abituando» ai massacri razziali e che di
ora in ora ci fa perdere il contatto con la tragedia misurabile, prima migliaia di vittime, poi trentamila,
cinquantamila, centomila, forse di più. Il terremoto come un’Apocalisse di Isaia, quando al terra si
spacca e vengono dispersi gli abitanti.
Ma oggi la voce dei profeti di sventura arriva con il telecomando o fresca di edicola. Siamo tutti figli
della diretta: consumiamo il mondo in tempo reale; viviamo uno spazio senza dimensione, dove lo choc
ha la stessa velocità di accesso che di uscita. E’ più facile turbarsi che ricordare e la solidarietà dura
ancor meno del ricordo; l’immagine ci allena all’orrore e insieme alla rimozione; l’alone della notizia si
dissolve presto anche tra le righe più nere. Nell’era della comunicazione, il tempo è flash e tiene
l’uomo più che mai prigioniero dell’attimo.
Se non ci accorgiamo del Bangladesh o ci scordiamo in fretta dell’Armenia, saremo alla fine più soli.

dicembre 1988