1988 dicembre 01 Un manager che arriva in orario

1988 dicembre 01 – Un manager che arriva in orario
FERROVIE. Il Consiglio dei ministri gli ha affidato il rilancio dell’Ente
Schimberni commissario
Prese una Montedison indebitata fino al collo, la privatizzò, la risanò, strappando dalla mammella dello
Stato una bocca a fondo perduto. Per far immediatamente capire che cosa intendesse per sprechi,
ordinò di spegnere alle 17.30 tutte le luci della sede di Foro Bonaparte a Milano e si disfò dei tre aerei
da Vip della società.
Se questi sono i precedenti e lo stile del personaggio, Mario Schimberni è l’uomo giusto per
commissariare le Ferrovie dello Stato. Diecimila miliardi di buco all’anno; 215 mila dipendenti; ; l’ente
più sovvenzionato in Europa e tra i più inefficienti; feudo dei partiti buono per tutte le clientele, a
cominciare dal Sud, sperperi che nemmeno Faruk d’Egitto si sarebbe permesso all’interno di un
consiglio d’amministrazione e di una direzione rigorosamente lottizzati.
Ancora una volta, l’intervento della magistratura regala alla politica il pretesto per riparare
all’omissione di atti di ufficio; ancora una volta, soltanto la denuncia penale si rivela in grado di
spezzare la perversione dell’inefficienza. Non è una constatazione confortante per la qualità della
democrazia, ma ratifica pur sempre uno strumento per quanto atipico di riformismo.
Ha subito detto un alto dirigente della Cgil: «Affidare le ferrovie a chi ha privatizzato la Montedison
con i soldi dello Stato è una soluzione politica assolutamente inaccettabile». Se intende gestire il
baraccone secondo criteri di managerialità, dunque per far tornare i conti dello Stato e soprattutto
nell’interesse degli utenti, Schimberni ha già capito di dover vincere un tabù durissimo a morire.
Quello che impedisce di distinguere tra investimento e sovvenzione; quello, anche, che guarda ancora
con malcelato sospetto all’irrompere dell’innovazione (privata) nella gestione (pubblica).
«Schimberni ha scelto di combattere solo, e l’ha pagato a caro prezzo», ha scritto di lui Alan Friedman
nel discusso «Tutto in famiglia» dedicato al potere degli Agnelli. Figlio di un barbiere, nato in un
quartiere povero di Roma, di nerbo ne ha persino in esubero se tentò con la Montedison di mettere in
discussione qualche regola della «vasta gamma» Fiat.
Ma oggi tutto ciò sembra appartenere a un passato quasi remoto. Mario Schimberni torna a galla
chiamato dai politici a bonificare un ente politicizzato, un monumento alla spesa pubblica. In attesa dei
treni, per ora è arrivato in orario almeno il manager.

dicembre 1988