1987 febbraio 24 E poi le chiamano emozioni

1987 febbraio 24 – E poi le chiamano emozioni

Sono 26 i Paesi che usano l’energia nucleare a scopo civile; soltanto nell’ultimo anno sono state attivate
21 centrali, con la Francia – qui a due passi – in prima linea negli investimenti. Era impensabile che
l’incidente di Cernobyl mettesse di colpo in mora una sorgente energetica che si destina agli anni
duemila, ma era doveroso che la nube senza confini provocasse una riflessione assolutamente priva di
preconcetti su sviluppo e sicurezza, su risorse e ambiente, su fabbisogno e consumo.
Nasceva qui l’intenzione da tutti condivisa di una conferenza sull’energia. Il Paese di Enrico Fermi,
padre del nucleare; il Paese di Carlo Rubbia, Premio Nobel di punta nel sostenere l’energia pulita cioè
la fusione nucleare «con la quale ci si propone di ripetere in forma controllata e su terra le reazioni che
fanno bruciare il sole»; il Paese che, come ha ribadito Craxi, «negli ultimi 40 anni ha superato tutti gli
altri Stati al mondo per qualità dello sviluppo», questo Paese aveva le carte in regola per fare un punto
ragionato sul domani. Quando il destino dell’uomo si confonde con la bolletta petrolifera e con il
nucleo dell’atomo, le precauzioni non sono mai troppe.
In questi ultimi mesi è accaduto esattamente il contrario. Partiti, gruppi e movimenti si sono buttati
sulla conferenza quasi sempre con spirito settario, in un rigurgito di ideologia che ha speculato sulle più
che legittime perplessità popolari. Senza contare che gli stessi esponenti del mondo scientifico si sono
divisi sfiorando la rissa e giungendo, come accadde in diretta televisiva, a scagliarsi reciproche patenti
di imbecillità.
C’è chi l’ha disertata, chi la ritiene dimezzata, chi la giudica finita prima di cominciare, chi la reputa
faziosa per gli interessi che le tengono il fiato addosso, chi ne denuncia la incomprensibile segretezza
nei lavori di preparazione. Cavalcando disegni elettorali o utilizzandola per farne una chiassata politica,
la conferenza si presenta come un’occasione già mezza sprecata.
Più che offrire al Parlamento uno strumento per ridurre al minimo il margine d’errore, la conferenza
corre il pericolo di far crescere la confusione e le vere e proprie faide nucleari, con «saggi» di opposta
saggezza e di facile controconferenza. Il bello poi è che sono in molti a dichiararsi preoccupati per i
referendum, ritenendo che la gente finirà con il votare in base a «emozioni». Di grazia, chi aiuta oggi
l’opinione pubblica a decidere razionalmente?

febbraio 1987