1987 aprile 05 Non solo crisi

1987 aprile 05 – Non solo crisi
Alla politica degli «spiragli» non abbiamo mai creduto in questi giorni, perché i referendum si sono
trasformati in una linea Maginot tra Dc e Psi. De Mita considera il governo in carica inaffidabile
persino per la normale amministrazione pre-elettorale; l’organo del partito «Il Popolo» ritiene
autolesionistico «accettare tutte le ambiguità e le sregolatezze dell’alleato».
L’«alleato» Craxi parla oggi chiudendo il congresso di Rimini mentre non sono pochi, all’interno della
Dc, quelli che guardano con crescente preoccupazione al degrado dei rapporti con il Psi. Se l’alternanza
dei comunisti non è ancora realistica e se l’antagonismo tra De Mita e Craxi non si raffredda, il
pericolo che la prossima legislatura nasca morta non va trascurato. Chi semina vento raccoglie
tempesta, come palesemente apparirà dalla resa dei conti voluta da Cossiga in Parlamento.
Il momento è di quelli da dimenticare il più in fretta possibile, ma commetteremmo tutti un grave errore
limitando il giudizio alla crosta della crisi, per quanto incomunicabile e contorta. C’è una vibrazione
sotterranea che va colta e che segnala sia un cambiamento di fondo sia una crescita di democrazia:
riguarda Pci, Psi, Dc.
Quello che, visto da sinistra, appare a Capanna lo «smarrimento» del Pci, senza dubbio sta a indicare
un salto – anche generazionale – nella concezione del partito. Non perché Occhetto sia pronto a
succedere a Natta, quanto per il laborioso tentativo di uscire dal mausoleo della lotta di classe. Stava
già scritto nel documento approvato sette mesi fa dall’ultimo congresso che l’Est europeo non può «in
alcun modo» costituire un modello per altri paesi e vi si leggeva anche che, di fronte al fenomeno
dilagante dell’imprenditorialità diffusa, il Pci e il sindacato sono chiamati a nuovi atteggiamenti.
Emblematica in questo senso una recentissima lettera del segretario generale del Veneto con la quale la
Cgil «ambisce a diventare un interlocutore della nuova imprenditoria» cominciando dall’innovazione
tecnologica e dall’internazionalizzazione dei mercati.
Il Psi ha addirittura cancellato dall’emblema del partito la falce e il martello, rimozione che ratifica in
immagine l’ultimo passaggio alla socialdemocrazia di stampo europeo. De Michelis non ha nascosto
che il neo-riformismo manca ancora di «un programma concreto» ma non ha esitato a definirlo come
«l’aggiornamento completo di cento anni di obsoleto riformismo ottocentesco».
La prima presidenza del Consiglio laica (Spadolini), la prima socialista (Craxi) e la segretaria De Mita
hanno poi accelerato anche la trasformazione della Dc in partito sempre più autonomo nel consenso,
laico a sua volta, del tutto sganciato da vecchi parallelismi. Ciò anche a costo di esporsi mai come oggi
al giudizio altrettanto autonomo del mondo cattolico: proprio ieri sul settimanale «Il Sabato» il
politologo cattolico Gianfranco Miglio si chiedeva se «una parte decisiva della Dc» voglia davvero
adattarsi a dare «nuove regole», senza egemonie, al gioco politico in un Paese ancorato a governi di
coalizione.
Come hanno dimostrato anche Cossiga e la Iotti, non è insomma tutto crisi quel che appare. Ovvero,
stiamo forse vivendo insieme il post-industriale e il post-politico. Il che non deve preoccuparci,
consiglia Norberto Bobbio sull’ultimo numero di Nuova Antologia, scrivendo: «Il dispotismo è statico,
la democrazia dinamica, e in questa capacità di continua revisione sta una delle ragioni della sua
eccellenza».
aprile 1987