1986 giugno 3 Universo di guardoni

1986 giugno 3 – Universo di guardoni

Per la storia c’è un “avanti Cristo” e un “dopo Cristo”. Molto più prosaicamente nel giornalismo dello
sport si fanno i conti da prima e dopo la televisione.
Fino a quei primi Anni Cinquanta, eravamo dei trovadori. Le nostre “chansons de geste”
rappresentavano l’unica verità e i lettori vi si affidavano con reverenza e stupore. La notizia sapeva
ancora di “dispaccio” mentre la razza del Bruno Roghi popolarizzava sintassi e sentimento.
Giornalista era il testimone privilegiato che svelava l’ignoto. Anche la radio, con quella voce certa
che poteva annunciare da un balcone la guerra o che, nell’epos del ciclismo, attaccava il collegamento
con “un uomo solo al comando”, e tutti sapevano che di Coppi si trattava. Era il mondo di Nicolò
Carosio, per il quale le caviglie dei nostri “ragazzi” andavano difese come l’ultima sponda del Piave.
E venne l’elettronica, suppergiù quando Stalin moriva da satrapo nell’oscurità dei sudditi impauriti e
aspiranti sicari. Gli italiani scoprirono che si può guardare la notizia che anche un analfabeta può
leggere l‘immagine, che i giornali perdevano di colpo il monopolio non tanto dell’informazione
quanto del mistero dei fatti.
Oggi la Mondovisione dal Messico sublima il tuttotivvù, il colore, le pluricamere, gli sguarci del
dettaglio, le super moviole, le ossessioni del replay, i dati in sovrimpressione, le biografie in diretta:
la partita si rigenera all’infinito per inseminazione spettacolare. Così, il giornalista di carta è come se
si affidasse ad un antico papiro.
Lo hanno espropriato di tutta la cronaca, non della sua opinione. E adesso a gente ama di più il
giornale che ferma la vita nel nostro universo di guardoni.