1985 Aprile 25 Una data di comuni speranze

1985 Aprile 25 – Una data di comuni speranze

Non è una pagina di storia dimenticata, la Liberazione non è il Risorgimento. Tutti gli italiani dalla
cinquantina in su sono in possesso di ricordi personali, che nemmeno quarant’anni possono
archiviare. La vita delle persone, le loro sofferenze e le loro speranze, durano più dei Regimi; la
coscienza non ha i ritmi della politica.
Sono due i modi di meditare sul 25 aprile: rivedendo quello del 1945 o dando senso a quello del 1985.
Di fronte al primo siamo oggi tutti un pò più tolleranti, dove la tolleranza non coincide con la
smemoratezza ma alimenta atteggiamenti più sereni. I tabù e i luoghi comuni vanno scemando, la
ricerca documentale si fa più spregiudicata, si riesce a discutere tutto più per capire che per convertire.
Questa crescita non ha nulla di stupefacente perché frutto maturo della democrazia. Nessuna verità
riesce possibile alle dittature, tutte le verità – anche le più tormentate – trovano sbocco in democrazia.
La quale non è un bene definitivo; anzi, resta tuttora un fiore debole nel panorama di un mondo per
lo più oppressivo e violento, dove a sopraffazione raggiunge livelli di raffinatissima perfidia
burocratica.
Il 25 aprile è data di pace e libertà, il via a un cammino carico di rischi, perché molto spesso chi parla
di democrazia in realtà non la ama e chi più ne parla più se ne serve senza servirla. E’la nostra
democrazia occidentale e pluralista, non altre, che ha potuto trasformare la Liberazione in Stato di
diritto e in rifiuto della guerra.
Sono in molti a sostenere che gli italiani non amano la guerra: se così è, si tratta di una grande qualità
del nostro popolo. Non esiste esperienza peggiore della guerra e soprattutto chi l’ha sofferta sulla
propria carne sa che lo spirito di Caino e Abele si sublima nella guerra civile.
La Liberazione ha una data, ma non è un avvenimento datato. La nascita della democrazia può
continuare o abortire ogni giorno, basta guardarci intorno, basta vivere dentro la società senza
tentazioni di estraniamento.
Quarant’anni hanno ricostruito e trasformato l’Italia come accadde a pochi Paesi al mondo. Persino
chi sognava rivoluzioni d’importazione, ha dovuto via via reinventare strategie, linee di partito,
linguaggio e schieramenti perché contagiato dalla democrazia. Questa democrazia ha aiutato i suoi
stessi avversari a costo di apparire a volte indifesa.
Se non ha fallito, è perché ha trovato nuovi punti di resistenza, a cominciare dalla costruzione di un
Paese interclassista fino al no al terrorismo. Senza armi, la Liberazione ha lasciato in eredità una
coscienza moralmente armata che oggi si pone l’obiettivo della “giusta società” da potenziare con
tutti gli strumenti della libertà.
Letto ieri il 25 aprile fu la tomba delle dittature fascista e nazista. Riletto oggi il 25 aprile è una gran
voglia di riempire di contenuti le comuni speranze.