1983 novembre 28 Verona e Juve sole

1983 novembre 28 – Verona e Juve sole!

La Toscana è anche per la Juve, Firenze no: Firenze è soltanto per sé stessa, non ha un solo club
bianconero, considera la Fiorentina il suo giglio d’identità e detesta la Juve, con l’odio viscerale di
uno Zeffirelli o con l’indomabile insulto delle sue curve. Quando Paolo Rossi è uscito con la
caviglia storta sotto la curva Fiesole, sembrava che l’inferriata trattenesse lupi feroci. Dalla parte
opposta, un largo striscione ribadiva a distanza di ben sei mesi “Grazie Amburgo!”. Quella sera,
quando la Juve perse ad Atene la finale di Coppacampioni, qualche centinaio di persone fece festa
sul Lungarno.

Della Juve si vede non la bravura di Platini o un albo d’oro di scudetti presi sul campo, ma il Potere,
i razza padrona, l’incombente Mamma Fiat, il carisma degli Agnelli, la benevolenza perfino troppo
sfacciata degli Dei del football.

Non ritenendosi mai seconda a nessuno, Firenze vuole sempre lo scudetto, ma ne farebbe un rito
sacrificale, un intensissimo e irrazionale piacere, se a cederglielo fosse proprio la Juve. “È l’unica
squadra che qui non sarà mai applaudita!”, mi diceva un collega salendo assieme in tribuna. “Se
anche stravincesse, il massimo dell’ammirazione possibile sarà il silenzio”.

Il 3 a 3 di ieri è nato dentro questa consolidata atmosfera, in un’attesa e in una voluttà di sbranare
che ha portato allo stadio il massimo della gente (56 mila persone) e il record assoluto degli incassi
di Firenze: 836 milioni. Sei gol hanno lasciato inesplosa una carica tanto esagerata da imbarazzare,
una cronica ossessione.

Classifica alla mano, il pareggio è molto utile alla Juve: ha sorpassato la Roma proprio alla vigilia
della partitissima dell’anno, domenica prossima a Torino, e non avverte il disagio della squadra
campione d’Italia, un solo punto raccolto negli ultimi tre incontri! Nei panni della Juve, non
canterei tuttavia salmi di gloria e non tanto per la caviglia storta di Paolo Rossi, che rischia di
saltare il grande appuntamento, quanto per un fatto che ha perfino dell’inedito: la Juve di Firenze ha
dimenticato l’arte di difendersi.

Non le mancavano i giocatori, tranne quel baobab di Brio, ma un minimo di prudenza che
assomiglia molto all’abilità. Due gol su tre la Juve li ha presi mentre, in generale, aveva in mano il
risultato e mentre, in particolare, stava gestendo in proprio l’azione. Perdere palla, ritrovarsi nuda e
incassare due volte è stato un tutt’uno, con automatismo tanto lampante da lasciare una scia di più
che legittime perplessità.

Oggi come oggi, il confronto tra Juve e Roma non avviene su toni elevati; è un duello a bassa quota,
tra una squadra da un mese in eclisse (la Roma) e una squadra per la quale non si riesce mai a
mettere le mani sul fuoco (la Juve).

Caro, carissimo Giua’n Brera, la squadra più in palla è oggi il Verona autarchico di Bagnoli e di
Fanna per la banalissima circostanza che sa ragionare calcio secondo un modulo che protegge
undici giocatori dalla tentazione di sentirsi qualcosa di più e di diverso da quanto in realtà sono.
Bagnoli ha tradotto in schemi una mentalità, molto umile nel chiudersi dietro, senza complessi nello
sparare ventagli di contropiede.

A un terzo esatto del campionato, il Verona è solo in testa con la Juve e sembra non sorprendere più
nessuno. E il bello è che il meglio di sé lo darà probabilmente più avanti, quando avrà raggiunto la

certezza matematica di non retrocedere! Fatti i punti ai quali è doverosamente tenuto, il Verona
potrà finalmente giocare per giocare e, beninteso, per i premi partita.

Alla vigilia di Juve-Roma e dopo il 3 a 3 di ieri a Firenze, il campionato può davvero tutto. Soltanto
l’Udinese deve avere un magone in gola grosso così perché giocare senza Zico (per febbre) è
regolare, perdere in dieci senza Marchetti (espulso per proteste) è da calci nel sedere.