1982 febbraio 20 Due simboli

1982 febbraio 20 – Due simboli
Rocco e Zoff

Oggi sono tre anni che non c’è più Nereo Rocco. Fra un settimana, domenica 28, Dino
Zoff compie quarant’anni. Che c’entra un anniversario con un compleanno? C’entra
per più di una ragione, non ultima la coincidenza che il compleanno di Zoff è in un
certo senso anche un anniversario di inestinguibile carriera e che l’anniversario di
Rocco è una data tuttora nel calendario delle nostre più utili emozioni.
Ricordare Rocco non è nostalgia. La nostalgia è il più dolce e anche il più inattivo
degli atteggiamenti; sconfina quasi sempre in un reazionario chiudersi in sé,
ripescando cose e uomini già alle spalle. Ricordare Rocco serve invece a stare in
campana, con l’orecchio teso al domani e con i freni pronti a bloccare sulle frivole
mode dell’oggi. Nel «calcio alla Rocco» si coglieranno segni più duraturi che nelle
concitate pedagogie di giornata. A volte, il moderno dell’ultimo grido è soltanto
maschera dell’effimero, destinata a durare l’istante.
Guardate Radice? L’hanno supplito perché «estraneo» alla squadra. Guardate
Bearzot? Difende il suo «gruppo» persino con toni mammisti richiamandosi a cementi
di spogliatoio. Guardate Lucchi? Ha mezzo restaurato il Cesena affidandosi a
cartesiano contropiede.
Nereo Rocco, il «paròn», non è morto. Il campione amministrato come uomo prima
che come divo; il dialogo quale unico strumento per sbrinare le squadre; la copertura
degli spazi a mo’ di legittima difesa realisticamente a disposizione dei tecnicamente
più deboli: non c’è paradigma di Rocco che il calcio riesca a sbattere sotto un metro
di terra fredda.
Rocco è attuale perché predicava il buon senso, virtù senza tempo e spazio nascendo
con i valori medi del mondo. Sono tre anni che non c’è più il vecchio Nereo e, voglio
essere sincero, a me paiono molti di più: quando ho ricordato questa data,
l’impressione era di chissà quanto fa. Mi è venuto il dubbio d’averlo di fretta
dimenticato ma ho finito con il concludere che forse Rocco non ha date di vita e di
morte perché la sua scuola è il calcio che dura, le sue lezioni comprensibile dialetto, le
sue poche parole d’ordine assimilabili al mutare delle stagioni. Sembra sparito ieri o
cento anni fa perché lo ritrovi ogni giorno tra le pieghe del calendario.
A guardar bene, è un po’ il caso di Dino Zoff, 40 anni, sei scudetti, quattro mondiali,
oltre quattrocento partite in serie A e presto cento in nazionale: è la clessidra del
campionato; filtra partite come granelli di sabbia e finisce con il datare se stesso e il
calcio degli ultimi vent’anni, riuscendo ad essere insieme ricordo e avvenimento,
pietra di paragone e testimone.
Che merito soggettivo c’è ad essere sani? A durare? Ad essere più forti? Nessuno,
spesso non bastando cautele, diete, sacrifici e attenzioni a fare selezione. Il merito di
campioni quali Zoff sta piuttosto nel prolungare un modello di vitalità attraverso il
lavoro, la professionalità, la concentrazione.
«Durante l’estate – racconta Zoff – io e Castellini passavamo le vacanze tra partite a
tennis, nuotate, pallavolo, giri in barca e corse nei boschi. Ritornavamo in squadra
più tirati che alla fine del campionato». Dino Zoff ha 40 anni, prende da tempo le
copertine di Newsweek e continua a parare meglio di chiunque perché non ha mai
distinto tra vacanze e lavoro.
L’anniversario di Rocco e il compleanno di Zoff non sono rituali rimembranze. Senza
simboli vecchi e nuovi, lo sport respira in affanno, ostruito e senza poesia.
Rocco triestino, Zoff, friulano: sì, il Friuli – Venezia Giulia è una regione a statuto
speciale. Proprio speciale per il calcio.