1982 aprile 5 Fiat voluntas Juve

1982 aprile 5 – Fiat voluntas Juve
All’Udinese (con Causio) un punto che sa di A

Dall’inviato
FIRENZE – Partitissima è un superlativo, Fiorentina – Juve è stato un diminutivo di
partita. C’era il bel sole di primavera, sul campo si calpestavano tenere margherite ma
non è bastato a ispirare nemmeno trame decenti, se non proprio gol. Fu 0-0 a Torino,
è stato 0-0 a Firenze. A guardar bene, non è mai successo nulla di nulla. La classifica
dello scudetto 1982 rimane tale e quale a cinque match dalla conclusione: Juve punti
38, Fiorentina 37. Un conto che piace soprattutto a Boniperti.
Diranno che è dipeso dal fatto che lorsignori erano troppo nervosi e che il pomeriggio
valeva poco per tutti. Sarà da una parte vero, anche se non va scartata l’ipotesi che a
peggiorare le cose sia intervenuta una latente dose di broccaggine. Quando 90 minuti
di pedate fra una quindicina di nazionali o aspiranti tali non esibisce una sola azione
svelta e precisa, ogni sospetto è abbondantemente meritato.
La gente ha speso 654 milioni aspettando il gol o il surrogato d’esso. É andata molto
meglio a chi a Palazzo Vecchio faceva ieri paziente coda per guardarsi il codice di
Leonardo Da Vinci e gli arazzi del Re Sole. La cultura non tradisce mai, il football sì.
Se pareggiamo – aveva detto De Sisti – è come perdere. Se pareggiamo – ammoniva
Trapattoni – è come vincere. La partita è nata dentro questo bossolo e ci è morta più
precocemente di quanto immaginassimo.
La Juve sa difendersi meglio di chiunque, non a caso allinea pressoché intero il blocco
della Nazionale. Loro se ne fottono del giglio e della crema cittadina tutta schierata in
tribuna: sotto gli occhi di Zeffirelli e del marchese Pucci, Furino lavora come se si
trovasse alla Fiat Lingotto, timbra il cartellino e via. Da Gentile a Brio, nessuno
confessa vibrazioni estetiche, quando ci vuole ci vuole.
Ha cominciato prestissimo la Juve a a comunicare le proprie intenzioni, attraverso
marcature a piè fermo e scontri di nerbo direi europeo. Come dire agonismo al
diapason delle risorse atletiche, senza complessi di sorta. Il deterrente della Juve non
sta davanti, ma dietro.
Nel giro di una ventina di minuti denunciavano botte in testa o al naso i seguenti
giocatori: Miami, Graziani, Vierchowod! Scorreva sangue autentico, quasi una
giornata in omaggio alla benemerita Avis.
A scanso di equivoci, non di killer bianconeri si trattava bensì di accidenti agonistici,
a esemplificazione che «Il potere logora chi non ce l’ha»: questa Juve andreottiana –
altro che stanca di vincere – cerca e difende il suo probabile ventesimo scudetto come
fosse il primo o l’ultimo della sua storia. Non era una Juve conciliante, anzi tetragona,
nemmeno sfiorata dalla circostanza che Indro Montanelli, fiorentino a te stelle, aveva
annunciato di essere tornato da Milano a casa per assistere al «sorpasso».
La Fiorentina ha cercato di vincere, ma non abbastanza. Tatticamente parlando, sono
anzi convinto che fra Trapattoni e De Sisti ci fosse pochissima differenza di
atteggiamento. Prudenti entrambi, nonostante opposti obblighi di classifica. In fondo,
lo 0-0 non uccide nessuno: è un forte indizio bianconero, non ancora la prova del
guanto di paraffina dello scudetto.
Finché c’è matematica, c’è speranza, deve essere stato ben presto il ragionamento
della Fiorentina, approdata a qualche impulso offensivo, mai a vera, massiccia
percussione centrale o a fendenti tali da scompaginare il setaccio della Juve.
Chi doveva usare il fendente era soprattutto l’Antognoni Giancarlo, che appunto
codifica il meglio di sé in tali sbalzi di battuta, verticali e perentori. Ma questo

Antognoni ancora la Fiorentina non ha.
É un Antognoni riemerso, non approdato. Ha qualcosa di percettibile in meno, una
dose di cautela che gli gironzola attorno. Reca con sé anche qualcosa di fatale se è
vero che dopo nemmeno 9 minuti ha rimediato tre punti di sutura sull’arcata
sopracciliare sinistra per un violento e sanguigno impatto con il timpano destro di
Bertini, suo amico di ventura!
Scena ambulatoriale: giocatore fasciato alla fronte; immagine da Enrico Toti del
pallone; brividi di folla che avrebbero reso provvidenziale «Il nostro inviato speciale
Edmondo De Amicis».
Non è mai accaduto nulla di grave, ma tutto l’insieme si è via via depauperato. Non
c’era né gioco né molto fair-play. Erano schemi strozzati e passavano attraverso
qualche giocatore più astioso che efficiente, a cominciare da Graziani.
Sarà perché a Torino gli avevano fischiato anche gli ascendenti; sarà perché si sente
già la riserva di Paolo Rossi in Nazionale; sarà che è una vita che, da Torino a
Firenze, si ritrova davanti l’implacabile Juve; fatto sta che ieri il clima generale ha
rischiato di marcire con Graziani, trovatosi ben presto ai fragili limiti della rissa con
mezza Juve, da Brio a Gentile, da Cabrini a Scirea.
Lo stress e il terrore di perdere hanno ucciso anche le più timide intenzioni di gioco. É
stata un partita spaccata in due: i difensori da una parte, gli attaccanti dall’altra. Tutti i
primi hanno vinto la loro partita, perché l’hanno impedita; tutti i secondi l’hanno
persa perché hanno capito poco e perché sono francamente troppe le punte modeste.
Del resto, perché la serie A avrebbe aperto al secondo straniero se non soffrisse
penuria di uomini-gol?
Ho visto Trapattoni abbandonarsi più volte sullo schienale della panchina, stremato
dall’assistere all’inconsistenza del suo contropiede. In tribuna, molto più alle spicce,
mi chiedevo se non sia davvero giunta l’ora di ricuperare tanto Bettega che Paolo
Rossi! Con i Marocchino, i Fanno, lo stesso Virdis, abbondanza non c’è nemmeno in
casa Agnelli. Come tornano quelli, non li leva più nessuno.
Non c’è stata nemmeno una vera sicura palla-gol e la partita è declinata per sempre
soprattutto nel secondo tempo. Lo 0-0 è diventato muto patto di ferro anche tra le due
panchine. Al 52’ Trapattoni preferiva il mediano Bonini al centravanti Galderisi; la
Fiorentina, da parte sua, arretrava stabilmente l’ala Massaro.
Il tiro era operazione proibita e goffa. Ci si provava soltanto su calcio piazzato o
talmente di lontano da risultare esercitazione vana: buona soltanto per sprecare del
tempo.
L’ultima mezz’ora proponeva in teoria la situazione ideale per esaltare la Juve. Più
per stanchezza inerziale che per ispirazione, la Fiorentina ammassava infatti un
forcing di posizione, abbastanza spento nel ritmo. La Juve replicava contraendosi
ancor più e provando a innescare contropiede su Brady.
Gli spazi c’erano, e larghi anche, non fosse che la Juve era copia conforme della
Fiorentina: non poteva contare su un solo attaccante capace di vincere un dribbling o
di giocare un pallone di prima o di servire un dialogo preciso. Nulla. Virdis era uguale
a Graziani; Marocchino a Bertoni; due squadre amputate dallo strapotere dei difensori
e dall’ideologia dello 0-0.
La partitissima è tramontata così. Fumi viola evaporavano in cielo mentre la Juve
ruminava senza dare nell’occhio lembi segreti di scudetto. Sul prato andava sepolta
un’intera settimana di iperboli. Così impariamo.