1981 Gennaio 6 I regali di Dio bisogna meritarli

1981 Gennaio 6 – I REGALI DI DIO BISOGNA MERITARLI

Maradona è l’asso che mi pronosticò Omar Sivori, nel ’78 a Mar Del Plata, quando il grande e piccolo
Diego era ancora un diciassettenne sconosciuto all’estero e appena allo sboccio in Argentina.
Già allora Sivori puntato in Nazionale sulla coppia Kempes – Maradona ma Luis Menotti non era
ancora un ragazzino imberbe, non lo convocò nemmeno, puntando su Luque, un bell’armadio di
buona percussione centrale.
Oggi Maradona è Maradona. Ha oscurato tutti, Kempes compreso. Se sfracellando a colpi di dollari la
concorrenza euromondiale e integrandosi ai contratti pubblicitari del campione (legato alla Coca Cola
come il Paolo Rossi pre-squalifica), la Juve riuscisse prima o poi a ingaggiare Maradona, per gli
Agnelli sarebbe un pò come rimettere in carne ed ossa il mito di Omar Sivori, il “cabezon” che tra la
fine anni ’50 e gli anni ?60, diede una versione personalissima di interno di punta; il fiuto gol, il
piedino scaltro, la finta-scatto più essenziale delle aree di rigore di quei tempi.
Probabilmente Maradona non fuma né beve né gioca di notte a poker quanto l’Omar di allora. Non ha
nemmeno la stessa pelle ma, pur avendo un fisico più compensato e muscolarmente meglio
distribuito, Maradona ricorda certe movenze di Sivori, soprattutto nella dinamica, dal sornione
all’accelerato.
Da Maradona uno si aspetta i gol. Errore. I gol possono esserci o no, è il gioco che colpisce di
Maradona. In dribbling è un virtuoso ma, contrariamente a molti suoi colleghi sudamericani, non è un
narciso: il Dribbling gli serve per aprirsi l’orizzonte tattico.
La cosa più bella mostrata da Maradona contro il Brasile non è stato il gol. Formidabilmente
spettacolari sono apparse le sue aperture-gol: giocasse in Italia, la classifica del rifinitore dell’anno
sarebbe giù sua.
Un paio di volte, a mente gelata, ha affondato il passaggio rasoterra in spazi apparentemente sguarniti.
In realtà, spazi sui quali il compagno poteva avventarsi trovandosi di colpo faccia a faccia con il
portiere avversario.
Pur uscendo da uno specialista del dribbling, il servizio di Maradona parte dai suoi piedi radente,
dritto, di facile controllo per chi riceve. Sono i tocchi sul tipo di quelli di un Suarez o di un Cruyff o di
un Rivera. I servizi che ti aiutano, no i tocchi che complicano le cose perché esigerebbero un
Maradona che lancia e un Maradona anche riceve, cioè tanti assi.
Il gioco di Maradona è di classe perché finisce con il rendere semplici le cose anche a giocatori non
eccezionali. Le palle tagliate, aggrovigliate e barocche mettono a disagio i proletari del gol. Nel
football, l’abilità è tanto più elevata quanto più gli schemi e i campioni si rendono invece
comprensibili a tutti. Pur diversissimi, di pelle, spunto, scuola, palleggio e specialità, Maradona e
Rumenigge sono in questo senso compatrioti. Anzi, in Rumenigge il gioco si fa ancor più scarno,
ridotto alla polpa dei gesti soltanto utili.
Hansi Muller è più Maradona di Rumenigge, aggiungendo alla visione di tutto il campo la naturalezza
di un piede prensile, quei piedi che nascono in Sudamerica come una sezione staccata della musica
melodica.
Maradona, Rumenigge, Hansi Muller, la cosa più interessante che si coglie a contatto con i fuoriclasse
è la disarmante capacità che hanno di rendere “naturale”il calcio. Ma naturale, oltre che per talento

cresciuto nella placenta materna, anche per dosi di lavoro e di apprendistato. L’Argentina di Menotti
lavora in allenamento quanto non mai in Sudamerica e i tedeschi sono da sempre nella tradizione del
muscolo a tempo pieno.
Anche i regali di Dio te li devi meritare sudando.

Giorgio Lago