1980 ottobre 13 Tutti a casa

1980 ottobre 13 – Tutti a casa

«Tutti a casa» è un titolo che già usammo una domenica di campionato
particolarmente prodiga di ottusi zero a zero. Lo ripetiamo ora rivolti alla nazionale,
con l’avvertenza che quando diciamo tutti intendiamo davvero tutti.
Fosse solo marcia colpa di Bearzot, il problema sarebbe di una semplicità da prima
elementare. Si solleva il Ct dalla panchina e lo si affida per sempre al tepido fornello
della sua pipa. Via Bearzot e saremmo di nuovo Grandi, che bellezza.
Una volta era persino divertente ascoltare Bearzot dopo la partita: più schifoso era
parso lo spettacolo, più il nostro amico calava l’asso della soddisfazione. Il «sono
soddisfatto» di Bearzot appartiene oramai all’aneddotica della Patria, come
l’«Obbedisco» e il «Qui si fa l’Italia o si muore». Nessuno pensava che la situazione
potesse diventare più grottesca. Invece no, è arrivato Sordillo, a detta del quale la
partita di Lussemburgo «è stata bellissima»! Almeno Bearzot sta in panchina, labbra
semi-socchiuse e frementi, in una situazione emotiva che qualche buco lo può aprire
nella retina. Il neopresidente della Federcalcio no, lui si piazza in comoda tribuna,
guarda quanto uno spettatore e un giornalista: se vede bellissima Lussemburgo-Italia i
casi sono due, o dice quanto non pensa o è vittima di un golpe estetico, scambia il
bello co il brutto.
La Federcalcio paga Bearzot; il presidente della Federcalcio è soddisfattissimo di
questa Nazionale: perché Bearzot dovrebbe mai cambiare? Quando usi un superlativo
come «bellissima», a cambiare puoi soltanto peggiorare la situazione. Bearzot, con
Sordillo vai tranquillo.
Io non credo che Bearzot sia un deficiente né sia perente di Masoch e goda nel
soffrire. Ma certo esiste qualcosa in lui che gli fa vivere il rapporto con la nazionale in
stato di ipertensione, come se fosse una «roba sua», come se il resto del mondo gli
giocasse contro, come se i giocatori-monumento fossero un po’ la sua «Trieste
italiana», come se il silenzio di Allodi facesse parte di una cosmica congiura. La
nazionale non è per lui una squadra, ma una vita, che a toccarla e modificarla ci vuole
una fatica assai più che strettamente tecnica.
Questa nazionale è rigida, polverosa, conflittuale. Non lo è dal Lussemburgo, ma da
molto prima. Nel ’78 in Argentina il quarto posto fu un meritatissimo terno al lotto;
nell’80 a Roma il quarto posto agli Europei fu uno strascicato traguardo. La
mediocrità di questo ambiente è proporzionale alle sterili chiacchiere che alimenta,
quasi che il calcio si esprimesse tutto in un Causio-sì o in un Causio-no tra un
giornale e l’altro.
Bearzot che la trova «bella» e Sordillo che la scopre «bellissima» fanno parte del
sistema, dove ognuno gioca in trincea la propria lite privata senza accorgersi del
calcio venale, indebitato e mediocre; dei calciatori cosiddetti simbolo che sono in
realtà un marchio degli affari loro; dello sport più popolare gestito come fosse un
bene immobile, non soggetto a traslochi per disaffezione.
Franchi ha detto che nel 1980 la Federcalcio va amministrata da veri manager. Il Ct è
un professionista. I giocatori sono professionisti. Anche a cacciare Bearzot, non
migliorerà mai nulla se non si farà appello alla professionalità totale.
Ma non siamo tutti nauseati da un calcio distante parole e poco spettacolo? In un
Paese di ben altre, terribili nausee, toglieteci almeno questa.