1980 Olimpiade di Mosca. Oro a Oliva

1980 Olimpiadi Mosca [Oro a Oliva]

Dall’inviato
MOSCA — Oro a Patrizio Oliva! Era dal 1964 a Tokio, dal tempi di Atzori e Pinto, che l’Italia non
vinceva più nella boxe.

Se è onesto ricordare che il boicottaggio ha impoverito questo sport di sicuri talenti americani,
l’oro va a un pugile di classe, il che lo mette a riparo da drastiche riserve. E’ un po’ come
nell’atletica: quando fai il record del mondo, riesci a evitare anche l’ombra degli assenti.

Siberiano del Kazakhistan, i lineamenti mongoli, neri baffetti su pelle giallastra, Serik
Konakbaev giocava in casa, ma una giuria anche negli altri match esemplare lo ha liquidato con un
chiarissimo 4 a 1. Tra i giudici c’erano un bulgaro, un tanzaniano, un marocchino, un giapponese,
un argentino: soltanto il primo ha dato il pari, 59-59, con preferenza al sovietico. Tutti gli altri
hanno detto Oliva. Il pubblico ha accolto senza farne un dramma, pur essendo il terzo sovietico
battuto.

Oliva è un superleggero e mai lo è stato in vita sua come ieri sera! Al verdetto, dopo un’attesa
stordente, è esploso. Prima si è inginocchiato, poi ha cominciato a saltare sul ring, pugni sollevati,
baci e inchini, i garofani del vincitore per la prima volta lanciati al pubblico. Una gioia irrefrenabile,
come un botto della sua Napoli, laggiù in periferia, a Poggioreale.

C’è stato anche un risvolto patetico, che vorrei riuscire a raccontare a ciglio asciutto, senza
marcarci sopra. « L’ho fatto per te, Ciro » è stata la prima frase che ha sussurrato Oliva sul ring, un
attimo dopo il verdetto. Ciro era il quindicenne fratello di Oliva, scomparso alcuni anni fa per
l’aggressione di un male senza scampo. L’allenatore Franco Falcinelli, maestro di sport romano,
sapeva benissimo che quel trauma sta dentro Oliva come una pietra ferma, intatta. Il campione
spesso ne parla, con infinita tristezza.

Alla terza ripresa, il match si è fatto caotico, rischioso, e allora Falcinelli non ha esitato, « fallo
per Ciro! » gli ha gridato, quasi per richiamarlo al massimo di sé. Dopo otto mesi di duro lavoro, di
metodi razionali, di training autogeno e di test, un altro sport duro, massacrante, faceva ricorso alla
psicologia, alla parte più intima dell’atleta, quasi ai confini dell’invadenza. Lo stesso Falcinelli,
dopo essersi lasciato andare alla confidenza, quasi se n’è pentito: « Forse ho fatto male a
raccontarvelo. Spero che voi lo riferiate così, alla buona, senza farne sopra un fumettone
all’italiana ».

Oliva e il siberiano (la faccia dell’attore sul genere kung-fu) si assomigliano. Longilinei,

equilibrati, belli nell’allungo, veloci, una scherma solitamente corpo a corpo.

Ma l’emozione (« l’ansia pre-agonistica » l’ha chiamata Falcinelli) li ha parecchio scomposti alla
fine, in un match fattosi via via affannoso, non bello, tranne che in alcuni lucidi momenti della
prima e della seconda ripresa, quando il diretto destro di Oliva ha colto più volte il tunnel apertogli
dal sinistro basso e senza precauzione dal russo. Era lì il segreto tattico del match, e glielo aveva
raccomandato nei giorni scorsi al telefono dall’Italia Geppino Silvestri, l’allenatore di Oliva alla
società Fulgor Napoli.

II sovietico portava dopo il match un segno profondo sotto l’occhio sinistro. Oliva aveva gli

zigomi a macchie, per quei tre round da « fronte del porto » contro lo slavo Rusevski. « Ce l’ho
fatta » ripeteva « non potevo non farcela, per questo oro ho versato tante lacrime ».

Ha nominato tutti, Napoli, la contrada, la strada dove abita, i fratelli e le sorelle, papà Rocco, i
suoi allenatori, i medici, la banca che gli dà lavoro, tutto il suo mondo quotidiano di persone,
cazzotti e sentimenti. E’ un campione della tecnica, che in due anni vuole diventare campione

europeo. E’ l’unico campione che si solleva dalla mediocrità della boxe italiana. E’ un campione che
è difficile non stimare.