1980 Olimpiade di Mosca. L’Olimpiade finisce…cosa lascia ai russi?
1980 – Olimpiade di Mosca – L’ Olimpiade finisce..cosa lascia ai russi?
L’Olimpiade toglie le tende e mi domando come l’uomo della strada, la gente della metropolitana, le
massaie del Gum, i pazienti sovietici in fila sulla Piazza Rossa (l’ex “Pazza bella” degli zar) per dare
uno sguardo al corpo imbalsamato di Lenin, mi domando come abbiano vissuto la Olimpiade. L’hanno
amata o subita, ne sono fieri o la ricordano con indifferenza?
Chi aspetta una casa, e la casa è primo formidabile problema, la deve aver mandata a quel paese perché
da  qualche  anno  tutti  muratori  sono  stati  monopolizzati  dall’Olimpiade,  costruendo  impianti,  hotel,
villaggio; ripulendo palazzi, dando a chilometri di facciate nuovi intonaci, per la più parte a delicate
tinte  pastello,  il  rosa,  il  nocciola,  un  verdino  erba  fresca,  che  trova  il  suo  piccolo  capolavoro  nella
riverniciatura di San Basilio, un festival di colori, chiesa uscita da un cartoon di Wall Disney con i suoi
buiebi di marzapane.
Per il moscovita, l’olimpiade doveva essere anche un insolito appuntamento con i consumi, prodotti di
“circostanza”  affluiti  nei  negozi  soprattutto  per  dare  agli  ospiti  occidentali,  specialisti  in  immensi
sprechi, immagini di un consumismo spartano ma non da “tessera del pane”. Mosca ‘80 per smentire,
anche  sul  piano  della  vetrina  alimentare,  il  detto  secondo  il  quale  il  consumatore  sovietico  è  il  più
frustato del mondo.
Chi conosce Mosca come le proprie tasche, e ci vive da anni, assicura tuttavia che i generi di consumo
sono suppergiù gli stessi di sempre: è cambiata la quantità, il modo di presentarli. E se anche grandi
magazzini  obbligano  alla  coda  per  per  le  scarpe  per  pagare  il  conto,  il  moscovita  ha  goduto  del
vantaggio di una città mai così svuotata che, secondo alcune stime, avrebbe perduto in questo periodo il
20 per cento della sua popolazione, milione di irregolari, i bambini alle colonie, nessuna affluenza delle
altre città.
È uscita una Mosca separata dall’olimpiade e viceversa. L’apparato, forse 35 mila poliziotti e militari,
hanno innalzato una imperforabile staccionata tra una minoranza di privilegi e la massa degli esclusi.
Nonostante  le  molte  iniziative  culturali  di  contorno,  non  c’è  mai  stata  una  vera  festa,  integrazione,
scambio, amalgama. La Olimpiade ha fatto la sua storia dentro un immenso bossolo di cellophane, la
cui  trasparenza  tendeva  a  conservare  della  suggestione  della  naturalezza  e  il  suo  spessore  impediva
ogni pertugio che non fosse rigorosamente sorvegliato.
Così vasta, così bella nelle sue verdi periferie, Mosca si è identificata nella città senza bambini, senza
folla,  senza  lo  spontaneo  casotto  degli  atleti  e  della  gente  che  li  guarda.  È  come  se  alla  Olimpiade
avessero  tolto  il  sonoro,  fatta  eccezione  per  la  vampata  di  orgoglio  nazionale,  un  vento  di  medaglie
sovietiche a spazzar via qualche foglia secca.
Bravissimi come organizzatori, i russi si sono scordati di accendere il fuoco: la fiaccola della sport non
è bastata scaldare un’Olimpiade in freezer.