1980 Olimpiade di Mosca. Intervista a Oliva prima della finale
1980 Olimpiadi Mosca [Intervista a Oliva prima della finale]
MOSCA — « Stai tranquillo, non pensare che si tratta di una finale olimpica e meno ancora che è
una rivincita. Devi considerarlo un match come un altro, così ce la farai ».  
Il suggerimento gli è venuto dall’Italia. Dall’altro capo del telefono c’era Giuseppe Silvestri, il
suo  vecchio  maestro.  E  Patrizio  Oliva,  superleggero  napoletano,  sicura  medaglia  d’argento,
possibile medaglia d’oro di Mosca ’80, si porta dentro l’ultimo consiglio in questa vigilia della finale
olimpica. Pensa a Konakbaev, il sovietico avversario di oggi, ma si impone di stare tranquillo. Ci
riesce senza troppa fatica: è sorridente mentre conversa con i giornalisti ad un tavolino del villaggio
olimpico, ormai in fase di smobilitazione. Sul viso porta qualche segno dell’incontro con Rusevski. 
« E’ stato il più duro fin qui affrontato » dice.
Sicuramente più duro dell’avversario incontrato ieri sera, l’inglese Willis, stra battuto ai punti.
« Ero sicuro di farcela » ribadisce.
Adesso arriva Konakbaev, il sovietico che gli ha fatto lo scherzo più atroce della carriera (gli 
portò, via un titolo europeo che era convinto di aver già in tasca). Gran butta gatta da pelare.
« Il match lo sento, eccome. Ma quando salgo sul quadrato, al primo gong mi sciolgo
completamente » ammette.
Ha un dolorino al braccio destro.
« Nulla di preoccupante » assicura.
Si finisce per parlare sempre di Konakbaev.
« E’ veloce, porta bene qualsiasi colpo — è il giudizio del pugile di Poggioreale — è un tipo che
bisogna temere comunque. Ai campionati europei di Colonia ero convinto di aver vinto. Non era
stato un bel match, come sempre capita quando si incontrano due pugili dalle stesse caratteristiche,
due tecnici nel nostro caso. Io pensavo di aver messo a segno i pugni più precisi, lui stesso, alla
terza ripresa, vedendo che il combattimento gli sfuggiva di mano, cercò di ingarbugliare tutto. Non
so se lo farà anche questa volta. Certo è che io, in un anno, ho imparato a lavorare anche nel corpo a
corpo, a cavarmela nella bagarre ».  
Però diffida delle giurie.
« Sì, ho paura. Il match con lo jugoslavo pensavo di averlo vinto più largamente. Non mi hanno 
trattato molto bene finora ».
La  medaglia  d’oro  è  il  suo  chiodo  fisso.  L’argento  non  gli  basta.  Anche  Angela,  17  anni,
studentessa, la sua ragazza, gli ha raccomandato di fare le cose per bene, fino in fondo, di portare a
Napoli  questo  titolo  olimpico.  Patrizio  ci  spera,  sarebbe  il  coronamento  di  una  carriera
dilettantistica di tutto rispetto.  
Alla vigilia del gran giorno ricorda il passato: la scuola media, i due anni di Istituto Tecnico, gli
inizi  nel  pugilato,  ambiente  da  sempre  frequentato  dal  padre  e  poi  dal  fratello  Mario,  campione
nazionale del mosca, ritiratosi dall’attività dopo soli cinque incontri da professionista.  
Patrizio ultimo dei tre figli maschi (ci sono, in famiglia, anche due sorelle), faceva da portaborse
al fratello quando andava ad allenarsi o a combattere. E cosi la boxe gli è entrata nel sangue. Ha
percorso tutti i gradini, con un ore scendo di rendimento che fa sperare che proprio sul suo nome si
possano creare le premesse per un rilancio del pugilato in Italia.  
« La medaglia d’oro dell’olimpiade —afferma — sarebbe la gioia più bella della mia vita. Poi
passerò  al  professionismo  con  Rocco  Agostino.  Ma  voglio  fare  in  fretta.  Non  voglio  diventare
vecchio con la boxe, intendo chiudere ancora giovane. Entro un paio d’anni punto al titolo europeo.
Se sono davvero un campione lo devo dimostrare in un periodo di tempo breve ». 
Pensa ad un futuro che non sia fatto solo di pugilato, anche se vorrebbe assomigliare nella
tecnica e nel soldi a Muhammad Alì.
Ha un impiego come commesso al Banco di Calabria a Napoli (un posto sicuro, che gli consente
di  svolgere  l’attività  grazie  a  permessi  concessi  senza  troppi  problemi)  ma  anche  lì  vuol  fare
carriera. 
E’ un « guaglione » senza le caratteristiche tipiche del giovanotto napoletano. Ad esempio non è
superstizioso. Ieri è salito sul ring completamente indifferente al fatto che si trattava del suo match
n. 97.  
Eppure il « sette » è il suo numero sfortunato. Ha perso il settimo incontro da novizio (contro La
Vite),  il  settimo  da  dilettante  (contro  D’Elia),  il  77.mo  (proprio  contro  Konakbaev).  Non  ha
calzoncini  o  scarpette  «  portafortuna  ».  Non  ha  neppure  fatto  un  voto  da  sciogliere  a  medaglia
conquistata.  
« Ci vuole sempre l’aiuto di Dio però se non hai fiducia nei tuoi mezzi… ».
— Ma, allora, ti senti napoletano?
« Certo, napoletano verace ». La giornata di vigilia la trascorre senza novità di programma: ieri
un’applicazione al braccio infortunato, la colazione (uova e the), il pranzo (pasta e carne, cucinato
alla delegazione anche perché Russolillo è un ottimo cuoco), un bel riposo e, prima di cena, un po’
di « figure » con il maestro Falcinelli.  
Oggi, peso, colazione, un leggero spuntino a mezzogiorno, riposo — e poi, via, all’Olimpisky
un’ora prima del per cercare questa medaglia d’oro da offrire a tanta gente: ai genitori, ad Angela, al
maestro Silvestri, agli amici di Poggioreale. Patrizio ha già programmato il dopo Mosca, un mese di
vacanza a Ischia.  
« E chi mi parla di pugilato lo prendo a calci » dice scherzando.
Ma  questo  è  futuro.  Non  certo  delle  vacanze  sta  parlando  con  il  judoka  Ezio  Gamba  quando,  
lasciati i giornalisti, attende seduto sui gradini del villaggio che arrivi l’ora di pranzo.
Forse si fa spiegare come si fa a vincere l’oro.