1980 Olimpiade di Mosca. Diritti umani in Russia

1980 Olimpiadi Mosca [Diritti Umani in Russia]

Dall’inviato
Mosca — « La France c’est toujours la France ». Ci volevano loro, quattro atleti francesi, a parlare
di diritti dell’uomo e di espansionismo militare. In due settimane dl Olimpiade nessuno aveva
mosso labbro, come se boicottaggio non fosse mai esistito, come se Mosca ’80 non fosse mal stata
in discussione.

Senza Marajo, Arame, Froissart e Veronica Grandrieux sarebbe stata l’olimpiade del perfetto

oblio: dopo aver corso in atletica e prima di partire per Parigi, hanno voluto testimoniare, la
« fierezza dl uomini e di donne liberi » come è detto in un dattiloscritto, messaggio di 25 righe, in
francese.

Con questo messaggio, non firmato, sono stati ricevuti da due personaggi, uno sportivo
(Vladimir Popov); uno politico (Leon Zamiatyn), quest’ultimo membro del comitato centrale del
Pcus. L’incontro è durato un’ora, tra viavai di caffè e tazze di the portate su e giù per i corridoi da
cameriere. Fuori, una foresta di telecamere francesi, tedesche, americane, inglesi, le più pronte.

Nel messaggio cl sono soltanto due righe in maiuscolo, ben evidenziate. Cogliamo l’occasione di
essere a Mosca dicono « pour vous demander solennement la libéraiton de tout être humain en Urss
pour délit d’opinion ou de pensée ». Sono le due righe che domandano la liberazione dei prigionieri
politici, documentate dai dissidenti, da Amnesty International, dai reduci dal gulag, da Sacharov.

Marajo e Arame sono francesi di colore, delle Antille, il che è doppiamente seccante per i russi,
perché la loro pelle scura fa tanto Terzo Mondo, cui il Soviet guarda da sempre con cura maniacale.
Primatista francese sugli 800, Marajo è nato ventisei anni fa a Parigi e insegna ginnastica a
Vincennes, ma i suoi genitori sono della Martinica. Anche su un piano visivo, ciò ha contribuito a
rendere la severa e compostissima protesta il più possibile inter-razziale, denazionalizzata: due atleti
di colore assieme a due biondi, Froissart e la Grandrieux.

Senza emettere la minima battuta, ma con un’aria di larga ironia, José Marajo ha detto dopo
l’incontro soltanto questo: « I sovietici hanno dichiarato che tutti i diritti previsti dalla carta di
Helsinki sono rispettati in Urss e che non esistono da loro detenuti politici ».

Un’ora dopo l’affollatissima conferenza stampa di Popov: « non è stata una petizione — ha detto
— soltanto uno scambio di punti di vista. Il documento riguardava tutti i Paesi del mondo, e ci
trovava pienamente d’accordo sulle minacce alla pace e allo sport. L’unico punto sul quale non
eravamo d’accordo era il loro punto di vista sui detenuti politici ». « Noi non possiamo liberare
prigionieri politici, perché non ne abbiamo. Secondo la costituzione sovietica, noi non teniamo
nessuno in prigione per le sue opinioni. I prigionieri sono tutti criminali comuni, in base ai reati
previsti dalla nostra legislazione ».

Basta mettersi d’accordo sulla nomenclatura e tutto diventa più comprensibile: li chiami « banditi
del pensiero », criminali della propaganda anti-sovietica e i conti tornano benissimo. Tant’è vero
che, al colmo dello stupore per tanta ingiustificata curiosità, il numero 2 della piramide olimpica
sovietica ha replicato: « non vale la pena di cercare qualche piaga o pus nascosti, non ci sono ».

« Niet », assolutamente no, tra un caffè e l’altro non era proprio il caso, e poi perché mai

parlarne, è successo qualcosa d’interessante in Afghanistan?

Occorreranno decenni perché gli americani si scrollino di dosso il buco nero del Vietnam; i

sovietici non ci cascano: lo ignorano prima, quando ancora ci stanno dentro.

I giornalisti francesi assicurano che il documento presentato a Popov reca l’adesione di circa 120
atleti, dei quali 25 presenti a Mosca. Ma non è questo il punto. Conta il significato, venuto dalla

terra di Voltaire, gesto illuminato contro il disimpegno e i qualunquisti, a favore dei diritti umani
che sono violentati in mezzo mondo e qui, in terra e tempo di « umanesimo olimpico », come
dicono per le strade i grandi tabelloni del Giochi.

L’ultimo sabato dell’Olimpiade ha letto a Mosca una preghiera laica.