1980 dicembre 6 I grandi campioni il pubblico non lo sentivano

1980 dicembre 6 – I grandi campioni il pubblico non lo sentivano

Sre fa ricordavamo con Italo Allodi una finalissima intercontinentale per club giocata
dall’Inter negli anni ’60. Nel tumultuoso stadio dell’Independiente, a Buenos Aires,
successe di tutto. Palline di vetro venivano sparate in campo con fionde micidiali e,
dagli anelli alti dello stadio, c’era chi (donne comprese!) si sporgeva orinando sulla
rete del portiere Sarti.
Ma l’Inter vinse. Sottile e inflessibile, arbitrava Marques, il migliore degli arbitri
sudamericani che, fatto il segno della croce e raccomandatosi alla mamma, non aveva
più timore di nulla, né del tiro a segno né della pipì. Quell’Inter era una squadra vera
perché teneva botta ovunque: la classe o è classe dappertutto o non è.
Il raffinato Mariolino Corso era capace di segnare proprio nella bolgia di Buenos
Aires. L’esile Mazzola rammenta tutt’oggi, come suo gol antologico, quello segnato
in Coppa Campioni a Budapest. Lo stesso mulatto Jair, che pur non passava in
trasferta per un ardito, riuscì a reggere in accanito contropiede anche con neve e gelo.
Come dire che i campioni autentici e le squadre autorevoli, dal Real Madrid all’Inter,
dall’Ajax al Milan, dal Benfica al Santos, riuscivano a trasformare tutti i campi in
generici «neutri», riducendo in termini molto accettabili la naturale differenza che si
riscontra fra partite in casa e fuori, fra terreni tiepidi e bollenti.
Oggi in Grecia la Nazionale gioca sul campo del Panathinaikos, per il quale sono stati
scomodati tutti i peggiori aggettivi, da «terribile» a «tremendo», da «infuocato» a
«intimidatorio». Per carità, è tutto vero, a patto che si faccia un bel taglio, di almeno il
cinquanta per cento.
É un campo, le misure sono regolamentari. Ci sarà un arbitro, coadiuvato da due
guardalinee. Si gioca undici contro undici. Non faccio banale ironia soltanto perché,
al momento di salire in aereo per Atene, un attacco febbrile mi ha tenuto a casa, al
comodo riparo da ogni inquietudine azzurra. Il fatto è che noi italiani tendiamo al
vittimismo; ci dà sicurezza precostituirci un alibi a scatola chiusa. In questo caso, un
campo greco descritto con toni che nemmeno i tragici versi di un Eschilo avrebbero
azzardato. Se i colpi di tacco e i pallonetti di Bruno Conti sono vera gloria, debbono
funzionare ad Atene quanto a Roma o a Torino. Questo è il punto. Non basta l’urlo
della gente, sia pure da tre-quattro metri, a spiegare eventuali tremarelle di ruolo o di
squadra. State pur certi che nemmeno un battaglione di prefiche impegnate in strazi e
nenie riuscirebbe a spaccare il cuore pallonaro di un Gentile o di un Tardelli, cioè di
atleti vigorosi, con i bulloni aguzzi quanto i canini.
Qui non giocano i pivelli della Under 21, ma professionisti maturi, di cento
esperienze e di ruolino internazionale ormai ben nutrito. Debbono poter pensare al
gioco, fingendo di avere l’urlo della folla in cuffia, perché proprio in questo
silenziatore interno sta anche una dose della personalità.
Bearzot divide a metà le possibilità di Italia e Grecia. Più che sopravvalutare i greci,
dà l’impressione di sottovalutare un po’ il dato più garantito dei suoi «ragazzi»:
finora, in tre partite pre-mondiali non hanno mai preso un gol. Il Ct ama dissertare di
gioco offensivo, ma sinora la trave solida della Nazionale è la difesa. Nasce qui
l’attesa, tatticamente serena, verso una partita che ad Atene vogliono impostare a tutti
i costi sul piano emotivo.
Trattandosi di un match da contenere nei toni e da amministrare negli schemi, è
comprensibile che a Bearzot dia noia rinunciare a Bettega, che gli garantisce
un’oscura ma preziosa tela di ragno a tutto campo. Anche quando non offende in area
di rigore altrui, Bettega è uno di quegli attaccanti che i compagni di difesa apprezzano
molto. Bettega è un tornante naturale, al contrario di chi rincorre per dieci metri

nemmeno il proprio avversario diretto.
Caso Bettega a parte, l’Italia è chiamata oggi a una partita razionale. Inferiore in
tecnica e mestiere, la Grecia proverà a colmare e a superare l’handicap sul ritmo,
sull’aggressività, sull’atmosfera. Contro tipi così, le distanze vanno ristabilite non con
una rissa del genere-Lussemburgo (vedi calci, espulsioni e squalifiche), ma facendo
ricorso, di nerbo, a pochi, essenziali moduli d’incontro. Fra i quali, non scordiamolo,
esistono preziosissimi calci di punizione dai venti metri, il più delle volte sprecati
senza arte né parte.
Anche se il campo del Panathinaikos non è una bomboniera per danza classica, la
Nazionale di Bearzot può reggere. Il pianto greco è fuori luogo.