1979 maggio 14 Un paradossale harahiri

1979 maggio 14 – Un paradossale harahiri

BERGAMO – Cari amici, è difficile spiegare da Bergamo la
retrocessione del Vicenza in serie B. A guardare che cos’era un
anno fa, ti coglie un senso di smarrimento. Il 7 maggio 1978 il
Vicenza chiudeva il campionato al secondo posto dopo la Juve;
con 50 reti fatte; Paolo Rossi capocannoniere, l’unanime stima
tecnica del pubblico italiano. Ora, ad un anno di distanza, la
squadra è
in B dopo aver dato a Bergamo ennesima
dimostrazione di amnesia difensiva e d’impotenza goleadoristica.
Questo Vicenza non è retrocesso a Bergamo, ma prima, molto
prima, distillando domenica dietro domenica al suo personale
harahiri. Le cifre, pur aride, illuminano meglio di un romanzo: a
sette partite dalla fine del campionato, il Vicenza aveva 22 punti e
bighellonava in campo con la supponenza di chi non ha più nulla
da temere. Adesso, fa la penosa conta finale e si ritrova con 24
punti! Mormora Franco Cerilli: “Non l’abbiamo fatto apposta”, e la
cadenza del dialetto gli dondola tra le labbra come un barcone
all’àncora nella sua Chioggia.
Il Vicenza è retrocesso sprecando innumerevoli punti nelle partite
in casa. E’ retrocesso nella maniera peggiore, carico di complessi
di colpa. La gente rimpiange il tappabuchi Filippi e il macigno Lelj,
ceduti la scorsa estate. Fabbri rifotografava uno ad uno i gol
sprecati, i rigori negati, le reti ingenuamente sofferte. Paolo Rossi
se ne andrà ad una grande squadra portandosi dietro un
imbarazzante ricordo.
E’ la caduta degli dei che dei non sono mai stati. Tutti i limiti della
provincia riaffiorano vanificando il “miracolo” di soli dodici mesi or
sono. Il Vicenza ha davvero ballato una sola estate e adesso è qui
a far scorrere sotto la doccia bollente un groppo di tristezza, di
rabbia e di incredulità.
I raffronti sono da arrossire. Retrocede l’Atalanta il cui più prolifico
attaccante è Garritano, con tre reti in tutto. E retrocede allo stesso
modo il Vicenza per la quale Paolo Rossi ha pur sempre
confezionato 15 gol. Ma nemmeno questi sono bastati, niente è
bastato ad una squadra in dissolvenza, dove le iatture sono
soltanto l’altra faccia della verità.
La stessa decisiva mazzata di Bergamo suggerisce i vizi pubblici
di questa squadra. Non possedendo l’Atalanta attaccanti di
autentico calibro, il Vicenza è riuscito a far segnare due volte

Giorgio Mastropasqua, ventottenne ex-battitore libero propenso
agli spazi di mediano.
La prima volta, graziosamente aiutato da Marangon e Salvi,
Mastropasqua ha trafitto il Vicenza con un delizioso pallonetto. La
seconda volta, favorito da una perplessità del portiere, ha saettato
con uno strano rimbalzo il 2-0, pietra sullo stomaco per tutti,
perché quei due gol non servivano più a nessuno, erano i gol più
inutili della carriera di Mastropasqua, portavano in serie B
entrambe le squadre in campo.
Il Vicenza ha avuto un solo momento di grandeur, nei primi dieci
minuti del secondo tempo, ma Rosi, Salvi e Guidetti hanno
sbagliato tutto quanto si poteva sbagliare e Paolo Rossi non
riusciva a sganciarsi dai tackles di Osti, stopper di Vittorio Veneto
che sogna l’Udinese e che, nonostante il raffreddore da fieno, ha
preso il duello con Pablito come un viatico per accrescere la
propria reputazione. “L’ho marcato duro – racconta alla fine Osti, gli
occhi gonfi di primaverile allergia – ma Rossi si lamenta troppo”.
Paolo Rossi aveva la bionda Simonetta in tribuna, il transistor
stretto tra le mani come un perverso amuleto. In tribuna c’era tutta
la famiglia Farina e quelli sguardi sperduti e senza orizzonte mi
hanno ricordato un’altra famiglia del football; la famiglia Moratti nel
1967, il giorno in cui, a Mantova, l’Inter ci rimise all’ultima giornata
uno scudetto.
Non so chi fosse più sfatto, se in tribuna o in campo. Farina, il
medico Binda, l’allenatore Fabbri lasciavano il prato senza un
gesto benché minimo di reazione. Giocatori come Faloppa e
Secondini guardavano con occhi più scavati di caverne. Era il
Vicenza della resa. E c’è chi sostiene che questa stanchezza è
colpevole, viene di lontano, è figlia di una preparazione troppo
leggera.
C’è sempre pathos
in chi perde. Retrocedere è perdere.
Retrocedere come è retrocesso il Vicenza è assurdo. Bionda e
scarmigliata, la giacca nera e la salopette di un rosso violento,
Manuela Farina ripeteva: “Non si può perdere così. Hanno giocato
come si trattasse di una amichevole”. La figlia del presidente
riflette i pensieri del padre che da due mesi va ripetendo: “La
squadra è stanca”.
Stanco o decaduto che sia, il Vicenza ritorna da Bergamo
paralizzato. Ha perso il presente e gli si para davanti un inquieto
domani. Il bilancio lo obbliga a vendere Rossi da una posizione di
debolezza mercantile mentre cresce, con un moto di postuma

ritorsione, il partito di chi ha sempre rinfacciato a Farina un
peccato di megalomania: l’aver sfidato la Juve e il Potere pur di
togliersi lo sfizio dell’asso made in Vicenza.
Il 2-0 di Bergamo (e Miani ha con bravura salvato sulla linea un
altro gol di Mastropasqua!) smentisce l’affettuosa speranza di
Sergio Campana e dà ragione al crudele pronostico di Manlio
Scopigno: “Vicenza in B, – aveva l’altro giorno dichiarato al nostro
Arnaldo Mussolini – e a Rossi gli sta bene!”.
Paolo Rossi, accusato da Scopigno di essersi troppo dato alle
pubbliche relazioni, esce spaccato psicologicamente in due dalla
retrocessione. Due anni fa trascinò la squadra in serie A, l’anno
scorso la esaltò fino al secondo posto, quest’anno non è bastato
nemmeno lui a tirare in tempo il freno della prudenza collettiva.
Anche Rossi finisce stanco, ammanigliato da stopper e battitori, da
un livello di almeno il 20 per cento inferiore al suo magico
standard.
E’ questo che il pubblico si rifiuta di capire: come il Vicenza sia
potuto retrocedere nonostante Rossi, autore del 50 per cento dei
gol della squadra (15 su 29). Una retrocessione senza Rossi non
avrebbe traumatizzato così, c’è il sospetto dello spreco, delle cose
fatte e vissute male, di una imperdonabile leggerezza dell’intero
ambiente.
Ieri a Bergamo era troppo tardi. Ieri a Bergamo non sono bastati gli
impeti di una squadra grippata, soprattutto a
ultimi
centrocampo, dove né Guidetti né Cerilli sono più parenti di se
stessi. Ieri a Bergamo non sono più bastate nemmeno le lire in più
dei premi-partita raddoppiati (mezzo milione a giocatore): la storia
del calcio è piena di crolli verticali e i soli due punti del Vicenza
nelle ultime sette partite sono un record.
Treni, pullman, carovane d’auto, tornano da Bergamo a Vicenza
carichi di gente e vuoti di storia. A nessuno serve prendersela con
la sfortuna, con gli arbitri, con i recenti zero a zero di San Siro o
con il Perugia che non ha battuto il Bologna. Soprattutto il Vicenza
ha retrocesso il Vicenza, attraverso un impeccabile reato di
autolesionismo, a volte tattico, a volte psicologico, a volte atletico.
Alla gente restano per ora soltanto i fantasmi, di Pablito che se ne
va, dei miliardi da riprendere, di Filippi, del seminatore d’oro
Fabbri, dei giocatori normali che sembravano diventati tutti assi e
che, alla lunga, sono ritornati fuori dal sogno con i piedi per terra.
E’ amaro, difficile, scomodo vivere così il calcio di provincia. Ti
viene la tentazione di non ricominciare. Ma domani è un altro

flebili

giorno e bisogna ricominciare. Caro Lanerossi Vicenza, su, animo,
la vita continua anche in serie B. In fondo, non è la prima volta.