1979 febbraio 21 È morto Nereo Rocco

1979 febbraio 21 – E’ morto Nereo Rocco
Buon giocatore, divenne famoso in Italia e nel mondo quale
tecnico – Dal grande Padova ai trionfi con il Milan

TRIESTE – Nereo Rocco, il popolare allenatore di calcio, è morto
ieri all’ospedale di Trieste alle 11.50. Aveva 67 anni. Era ricoverato
nell’istituto di patologia speciale chirurgica dal 13 febbraio e le sue
condizioni si erano via via aggravate nelle ultime ore. Ieri all’alba
era entrato in coma. Gli erano accanto la moglie Maria ed i figli
Bruno e Tito.
Nereo Rocco se n’è andato prendendoci tutti in contropiede, quasi
a voler scegliere persino per morire quel modo rapido e irridente di
andare in gol che predicava fin dai tempi del grande Padova anni
’50. Allora, gli si rinfacciava il modulo del “cadenasso”, i giocatori
“macellai”, la burbera maschera di paròn: ben presto ci si sarebbe
ovunque resi conto che il dialetto di Rocco era l’esperanto del
calcio, buono per l’Appiani di provincia quanto per il San Siro degli
assi.
L’ultima volta ho sentito Rocco al telefono, dalla clinica di Trieste,
ed aveva stilato del suo superstite fegato un referto clinico che
pareva uscito di peso da una poetica lapide di Spoon River: “xe in
malora dopo tante rabbie e bevute”, un po’ come il diacono Taylor
delle celebre antologia che, iscrittosi in vita al partito proibizionista,
confessò post-mortem di essere stato vittima della cirrosi epatica
dopo aver per trent’anni clandestinamente sorseggiato in farmacia
da una bottiglia con la scritta: “spiritus frumenti”.
Ma per Rocco il buon bicchiere di vino non era colpa, né
tantomeno peccato. Il vino di Rocco era un modo di essere amici,
un antidoto all’ipocrisia, pressapoco come il tajut dei friulani, anche
se il suo vino preferito era il grignolino dei piemontesi.
Rocco ha inventato e prodotto football, schemi, marcature e
tattiche, senza tuttavia esserne mai preda per intero. Nessuna
storia scritta di Rocco
renderà piena comprensione del
personaggio perché sprovvista di sonoro. E il paròn era invece
nelle parole, negli sguardi con ricevuta di ritorno, nelle risate a
doppiomento, nelle smanacciate di paterfamilias, negli stupori e,
soprattutto, nel ruminare la vita del “balòn” attraverso aneddoti,
frammenti, colpi di luce, piccole cose. Rocco non conosceva
astrazioni e forse per questo amava tanto i bambini: Rocco era
tutto nel contatto umano o in null’altro. Migratore di panchine, la
sua prima preoccupazione era di riuscir a possedere “lo

spogliatoio”, per dire i giocatori; e la seconda era di trovare tre
amici fidati per le veglie di tressette, gioco casalingo per sentirsi
meno nomade.
Nipote di un cambiavalute viennese costretto a italianizzare il
cognome Rock in Rocco, paròn Nereo ha sempre avuto il culto
delle cose utili e avvertito un’invincibile allergia per la parola
d’ordine dell’ultima generazione dei tecnici, a suo parere tutti
colpevoli di un delitto: l’aver complicato il calcio, mescolato pedate
e scienza, attutito il senso dell’artigianato. Rocco non ha mai
capito la “politica” del calcio, non è mai stato un Gipo Viani, ha
spesso cordialmente detestato i “federalotti”, così li indicava,
dell’apparato romano. Anche se ha finito la sua carriera quale
consigliere del Milan, Rocco non è stato l’uomo della società, ma
sempre della squadra. Autodidatta e senza dogmi, Rocco ha così
definito l’allenatore: “colui che deve far andare d’accordo venti
ragazzi milionari”.
Rocco non vale per il molto che ha vinto; vale per il tanto che
lascia, lo sport figlio dell’humanitas, la supremazia della prassi,
l’humour come vaccino della violenza, la memoria, nessuno
quanto lui essendo capace di dare al passato lo spolvero dell’oggi
e all’oggi la patina del passato, in un cocktail plebeo di uomini e
cose che alla fine lo facevano sorridere all’angolo della bocca: “xe
tute monade!”.
Nereo Rocco è morto, ed è la prima volta che la morte di qualcuno
mi fa sentire più vecchio. Nel perdere la stretta della sua grossa
mano, sento che se n’è andato anche un modo di vivere il
giornalismo.