1979 dicembre 29 Denaro, exploit e tv

1979 dicembre 29 – Denaro, exploit e tv

Un decennio difficile e poco amato, lo ha definito Alberto Arbasino:
“Gli anni ’70 – ha recentemente detto lo scrittore – sono mancati di
stile e di fisionomia. Un decennio che ha sbaraccato tabù e
pregiudizi, ma anche il patrimonio tradizionale”. Un giudizio severo
che riguarda la cultura e che riflette abbastanza bene anche lo
sport.
E’ stato il decennio della coerenza tra società e sport. La
produzione ci obbliga a consumare il più possibile beni e
soprattutto a consumare noi stessi quali beni: mai come in questi
ultimi dieci anni, anche lo sport è entrato a far parte del “piano”,
pur esso è consumo, industria, spettacolo, pubblicità, promozione
sociale.
La legge del consumo è denaro, ed era perciò inevitabile che lo
sport d’epoca odorasse di zecca come non era mai accaduto.
Questa è l’età dell’oro, dei record che fanno aggio sull’oro, sul
dollaro, sul petrolio. Tutto è record: il prezzo di un barile, il prezzo
di un lingotto, un’asta da Christie’s che qualche settimana fa a
Ginevra ha pagato 800 milioni un paio di orecchini. I tennisti Borg
e McEnroe possono valere un miliardo di utile netto all’anno; Rossi
è stato quotato 2 mila 612 milioni; hanno calcolato che la prossima
finale dei centro metri alle Olimpiadi di Mosca vedrà allo sprint
almeno mille milioni investiti su un pugno di atleti.
Il dilettantismo è ormai un revival o, meglio, fa parte del riflusso del
privato, una cosa da coltivare con discrezione, come l’amore, la
lettura o la preghiera. Il decennio che toglie il disturbo ci ha fatto
tutti professionisti tant’è che oggi assume vigore sempre più
spregiativo il rivolgersi a qualcuno dicendo: “sei un dilettante”.
Il denaro non guarda all’uomo, ma chiede il suo rendimento. La
competitività, il tornaconto, la cassa di risonanza, tutta l’ideologia
di questo decennio ha puntato sull’exploit, sul superlativo,
portandosi dietro Superman e Uomo Ragno, Goldrake e un’intera
generazione di “tuttagrinta”. Giorni fa, rivolgendosi a Gustav
Thoeni, Francesco Moser ha ammesso: “arrivare secondi non
significa nulla; oggi conta soltanto vincere”. Il primismo.
La scienza, i computer, la scuola, l’esperienza hanno dato velocità
supersonica alla rincorsa delle performance, tanto che negli Usa
esistono unità tecnologiche specializzate nel cogliere il “limite”,
dove potrà arrivare il nostro sport di bipedi sempre più a proprio
agio con additivi chimici e con carichi di fatica da incubo. Un

saltatore in alto quale Rudy Bergamo, di Mestre, non smette di
allenarsi un solo giorno all’anno, esercizio spesso senza felicità.
Gli anni ’70 hanno visto crescere lo sport di massa, il desiderio di
sport per tutti, gli sport collettivi, il lavoro di équipe. Ma, un poco
paradossalmente, i progressi maggiori li hanno segnati gli sport
individuali, l’atleta solo con la sua specialità, l’atleta che pone il
talento sulla soglia di un laboratorio, l’atleta psicofanaticamante
roditore di centesimi e millimetri. La souplesse umana di un Livio
Berruti è andata perduta negli anni ’70 tanto che Sara Simeoni,
avvertendo il pericolo, ha più volte ribadito a se stessa prima che
agli altri: “Non voglio ridurmi a robot di primati”.
Questo decennio di sport sempre più distante dal passatempo e
sempre più vicino allo spettacolo, ha trovato padrone nella
televisione. Tra colore, zoom, rallentatore, replay, riprese in apnea
e dall’elicottero, simultanee e sovrapposte, la televisione è il vero
occhio dello sport moderno. Le nostre retine già funzionano a
pollici invece che a diottrie; la suggestione delle immagini ha
ostruito la poesia del racconto; e più importante teletrasmettere
che giocare, televedere che guardare.
Denaro, exploit, televisione, è questa la trinità degli anni ’70, per lo
sport anni di attesa. L’Ottanta porterà i cinesi e una certezza:
questo non è il terminal, anzi. Dopo un decennio di formidabili
trasformazioni, lo sport è più che mai sulla pista di decollo. Volerà,
come sempre, stretto stretto assieme alla vita e alla società.