1978 giugno 25 El corazon argentino contro il nerbo olandese

1978 giugno 25 – El corazon argentino contro il nerbo olandese nel grande
festival del calcio d’attacco
A chi questa coppa del Mundial 1978?

BUENOS AIRES – Alle 16 e 45 di Buenos Aires sapremo chi è il campione del
mondo 1978! Soltanto un pareggio dopo i tempi supplementari potrà allungare l’attesa
di due giorni, fino alla ripetizione di martedì. Una cosa del genere non è mai accaduta
nelle nove precedenti edizioni del mondiale ed è quindi anche stavolta probabile che
tra Olanda e Argentina basterà una partita a chiarire tutto.
Nessuna delle due squadre arriva imbattuta alla finale, avendo l’Argentina perso con
l’Italia (1-0) e l’Olanda con la Scozia (3-2). Entrambe “teste di serie” nei lontani giorni
del sorteggio, non hanno vinto né l’una né l’altra la classifica del primo turno del
mondiale, precedute da Italia e Perù. Il che sta a suggerire che hanno dovuto superare
qualche difficoltà di non poco conto. L’Argentina aveva un ambiente eccezionalmente
caricato da due anni di preparazione intensiva, ma stentava molto a filtrare in zona-
gol. L’Olanda era quasi automaticamente inquadrata, ma rifletteva u clima interno più
portato alle cosche che al collettivo.
È stato il ritmo delle partite, sette in ventitré giorni, a cementare (psicologicamente)
l’Olanda e (tatticamente) l’Argentina. Che si trovano ora di fronte con la delega del
Sudamerica e dell’Europa, interpreti di un football molto diverso nonostante
l’intenzione di Menotti nell’europeizzare gli argentini e la cura della scuola olandese
nel perfezionare il palleggio sulle orme dei sudamericani.
Queste finaliste corrono molto. Il simbolo dell’Argentina lo colgo negli occhi di
Tarantini, eccitati, stressati, carichi di un fluido nazionalista spinto al parossismo. Il
simbolo dell’Olanda lo individuo in Haan, il gigante dei tiri impossibili, atleta che
esprime in pieno il passo più modulato ma non meno aggressivo del calcio totale.
Dice Menotti che l’Argentina dovrà tenere sempre l’iniziativa: “Sarebbe un suicidio
giocare in rimessa”. Happel sembra dargli ragione: “Sarà il festival del calcio
offensivo”. Gli uomini-gol di professione ci sono, Rep-Rensenbrink e Luque-Kempes,
mentre l’Olanda avrà il vantaggio di una netta superiorità nel mandare a rete difensori
e centrocampisti: nessuno ha meglio degli olandesi elaborato il concetto del giocatore
eclettico, sul modello del basket, sport al quale s’ispira G.B. Fabbri nel Vicenza.
Ma gli olandesi non hanno in questo momento un giocatore come Mario Alberto
Kempes, travolgente cordobés, capace di andare in gol, di un forsennato viavai in
centrocampo e di sensazionali interferenze difensive, come accadde contro la Polonia
quando si sostituì persino al portiere nel ribattere in volo un gol fatto. Provocò il
rigore, parato da Fillol sullo spento Deyna, e l’Argentina riequilibrò una partita
perduta. Soltanto il centromediano Passarella e “pato” Fillol hanno sull’Argentina il
peso che ha Kempes, non a caso miglior goleador in Spagna.
Per il colore delle maglie e l’efferatezza di certi tackle, l’Olanda è parsa a Bearzot una
specie di “arancia meccanica”. Il bis dipenderà molto da un pezzo d’uomo nato ad
Asti, dirigente di banca, che a 45 anni ha avuto il meglio che potesse capitare ad un
arbitro: Sergio Gonella ha diretto Brasile-Spagna e già a Mar del Plata ha fatto capire
di non essere disposto ad alcun jeu de massacre. Finora gli Argentini hanno smentito
tutta una tradizione di violenza, che il pubblico italiano rammenta benissimo nelle
partite di coppa con l’Independiente o l’Estudiantes d’altri tempi. Non credo che
risaliranno a quei tackle chirurgici e a quelle insolenti manfrine proprio il giorno della
più planetaria mondovisione, alla quale sarà per la prima volta nella storia collegata in
diretta anche la Cina. Ma, accadesse questo, tra mulini a vento e gauchos Gonella
passerebbe il più prestigioso e anche il più strangolato dei suoi pomeriggi di arbitro.

Gli ultimi reperti per giudicare le finaliste sono il 6-0 dell’Argentina sul Perù e il 2-1
dell’Olanda sull’Italia. Dipendesse da tali risultati, la dorata coppa Fifa sarebbe già in
braccio a Menotti, ma è impossibile trarre conclusioni definitive. Io non son tra quelli
che ritengono il Perù imbottito di pesos argentini o che interpretano le calorose
accoglienze riservate ieri da Buenos Aires ai peruviani quale sintomo del sottobanco,
ma ho avuto la precisa impressione di una squadra scollata, disinteressata, non
sufficientemente concentrata sull’art. 9 del regolamento di disciplina che fa obbligo a
tutti i partecipanti di rispettare le “regole del gioco e del fair play”. Perciò il 6-0 ha
seminato disagio e non può essere preso come oro colato nel dare la quotazione
dell’ultima Argentina.
Su un piano diverso, nemmeno l’Olanda anti-Italia appare del tutto credibile,
soprattutto per quell’immagine di inefficienza difensiva data per l’intero primo tempo,
quando gli italiani sembravano una pattuglia acrobatica, capace di disegnare scie gol
come se il 4-3-3 degli olandesi fosse in realtà uno scopertissimo 1-1-8 dei primordi
del calcio.
Se l’Argentina non è formato-Perù e l’Olanda non è gruviera, la finale diventerà una
cosa seria, dove potranno decidere i nervi, la resistenza fisica, la disciplina oltre che le
virtù strettamente tecniche. Più importante di così una partita non può essere. È
dunque ai vertici della concentrazione, del prestigio e del denaro. La psiche e il
corazon è come se giocassero in due squadre che sono il succo finale di una selezione
di 144 paesi.
Ci sarà anche la dedica. Dell’Argentina nacionalista al pueblo nella speranza che non
se ne appropri il governo. Dell’Olanda individualista a se stessa: “Dedicheremo la
vittoria – hanno dichiarato i due gemelli Van de Kerkhof – a mamma Mien che
abbiamo perduto un anno fa”. Non è vero che soltanto gli italiani affondano anche il
calcio nel sentimento.