1977 ottobre 17 Gli inglesi a Bearzot: “rinunciate al catenaccio”

1977 ottobre 17 – Gli inglesi a Bearzot: rinunciate al catenaccio!

Con Pelé, il più grande calciatore del mondo è probabilmente stato
Alfredo Di Stefano, l’argentino che tra gli anni ’50 e ’60 fu il simbolo
del grande Real Madrid. Erano i tempi in cui il suo autografo di
Saeta Rubia, freccia bionda, valeva almeno due dediche del
Generalissimo Franco. Di Stefano migrò anche in Colombia, con i
Millonaros di Bogotà, una squadra di fuorilegge della federazione
internazionale, una squadra che era stata battezzata balletto azul,
balletto azzurro, per la straordinaria renitenza al gioco difensivo,
sovrastato da una spettacolare vocazione al calcio d’attacco.
Sabato a Torino, uno scampolo di balletto azul lo ha realizzato
anche l’Italia. Ed anche l’Italia ha avuto la sua saeta, sia pure
bruna, con i capelli precocemente pepe e sale, Bettega. Ha scritto
Greg Drury del The News of the World che il nostro numero II, il
numero di Gigi Riva, “gioca di testa alla maniera dei centravanti
inglesi di una volta”. E’ la verità.
C’è un altro giornalista inglese, Brian Glanville del Sunday Times,
noto per un’inchiesta su un arbitro portoghese manovrato pro-Juve
in Coppacampioni, che l’altro giorno a Torino mi ha confessato
l’assoluta necessità culturale che un inglese avverte nei confronti
dell’Italia: “Voi avete la musica, la pittura, la scultura, che noi non
abbiamo. Noi abbiamo la letteratura, superiore alla vostra, ma
l’arte dei sensi, quella degli occhi e dell’udito, la possedete voi”.
“Persino il balletto l’hanno inventato gli italiani, prima dei russi. Per
questo gli inglesi, i miei figli, i giovani e no, hanno bisogno
dell’Italia”. Brian Glandville stava distruggendosi per peccato di
gola davanti ai rigatoni padellati da Urbani. Un paio d’ore dopo
avrebbe visto la partita e, telefono alla mano, avrebbe dettato al
suo giornale queste righe testuali: “E’ persino triste pensare che,
quando verranno a Wembley, gli italiani possano decidere di
tornare al loro vecchio modulo difensivo, attaccando soltanto in
contropiede”.
Per quanta ipocrisia si possa sospettare nella “perfida Albione”, il
timore di Glandville pare sincero. In fondo, si stupiscono tutti che
l’Italia continui ad esportare il catenaccio, che è un po’ la non-
fiducia nel calcio, quando possiede la verve di un Causio e il
deterrente di Bettega in zona-gol, oltre allo straordinario talento di
un Graziani e di uno Zaccarelli.

Enzo Bearzot non ha mai creduto alle poesie tattiche di Fulvio
Bernardini, romano di nascita e “olandese” per scelta pallonara.
Bearzot è friulano e non può, per ètnos, sognare. Ma forse questo
è il momento di corredare la Nazionale di un nuovo vangelo:
invece che guardare verso Zoff, girarsi dalla parte di Bettega.
Sembra una quisquilia, ma potrebbe trattarsi di una rivoluzione. In
fondo, sono sempre gli atteggiamenti e le sfumature a fare le
differenze.