1977 febbraio 2 La valanga azzurra boicotta l’industria italiana

1977 febbraio 2 – La valanga azzurra boicotta l’industria
italiana!

Un austriaco su tre scia! L’Italia non è ancora in queste condizioni
ma il boom dello sci sta già coinvolgendo almeno un milione e
mezzo di persone. Dalla fine degli anni ’60 ad oggi, l’effetto
promozionale della “valanga azzurra” è stato dirompente. Le
quattro coppe del mondo e l’olimpiade di Gustav Thoeni sono
diventate uno dei grandi poster dei giovani.
Ma la valanga è azzurra soltanto di nome. Paradossalmente,
coltiva infatti gli interessi dell’industria straniera! Non quella
dell’abbigliamento e degli scarponi, entrambe saldamente made in
Italy: a servirsi del messaggio pubblicitario della nostra squadra è
l’industria straniera degli sci e degli attacchi per sci. Per dare una
bozza del fenomeno, basterà ricordare che il costo medio di un
paio di sci si può calcolare tranquillamente sulle 80.000 lire mentre
il prezzo medio degli attacchi arriva a 35-40.000 lire.
Tenuto conto che il logorio, le innovazioni tecniche e l’imbonimento
pubblicitario fanno cambiare un paio di sci ogni 2-3 anni, il costo
della posta in gioco è altissimo.
Almeno il 50 per cento degli sci venduti in Italia è di marca
straniera e la quota sale enormemente per gli attacchi. La
tradizione ha scarsissimo peso sui giovani e nessuno sui
giovanissimi; la qualità è spesso soltanto un pretesto dal momento
che il grande Thoeni ha vinto tutto con gli Spalding fabbricati a
Chiavenna e gli attacchi Cober, anch’essi italiani. A determinare la
massiccia importazione di articoli stranieri e l’annuale uscita di
decine di miliardi è, incredibile quanto vero, la gestione del Pool da
parte della nostra Federsci e la sua politica che non tiene affatto
conto né del momento che attraversa il Paese, né della bilancia dei
pagamenti, né della produzione italiana.
In Francia, nessun sciatore della squadra nazionale può usare sci
che non siano di fabbricazione francese. In Austria esiste il
Rancing Team che consente ai vari Klammer di muoversi
esclusivamente all’interno di cinque marche austriache. In Italia,
tali quisquilie nemmeno ci sfiorano: ogni campione della valanga
azzurra può con i suoi risultati reclamizzare gli sci Rossignol
(francesi) o i quasi monopolistici attacchi Look Nevada (francesi),
perché il Pool azzurro non si è mai posto il problema di
“nazionalizzarsi”.

Non si tratta di imporre balzelli medioevali o di bandire una
crociata autarchica: facciamo parte del Mec e all’interno del Mec
debbono circolare liberamente merci e uomini. Si tratta invece di
preferenziare i prodotti italiani; di fare della squadra azzurra un
vettore pubblicitario degli articoli tecnici italiani. I francesi sciano
soltanto in francese; gli austriaci soltanto in austriaco: ebbene,
quella italiana è una squadra che può invece sciare sotto qualsiasi
bandiera! Come Gros e da quest’anno Plank per la Rossignol,
come Radici per la Dynastar. La valanga azzurra è apolide.
Mentre il calcio continua a tenere chiuse le frontiere dai tempi del
discusso “veto Andreotti”, lo sci consente proprio alla squadra
nazionale di fare da anni la réclame all’importazione dei prodotti
altrui. Un’importazione che fa uscire decine di miliardi mentre alle
16 squadre del campionato di calcio di serie A basterebbero non
più di sette miliardi per fare all’estero razzia di campioni.
Lo stridore e lo scandalo di tale situazione è stato denunciato a
Vicenza dall’avv. Ugo Dal Lago, noto esperto di problemi giuridico-
sportivi, alla vigi- ha detto “Skilex ’77” che si terrà da dopodomani
a Oberammergau, in Baviera.
Dal Lago è tra gli invitati al seminario internazionale e conta di
porre sul tappeto alcuni dei nodi che né la Fisi di Vaghi, né quella
del neopresidente Gattai sembrano voler affrontare : “Alla marca
jugoslava Elan – ha fatto osservare Dal Lago durante l’incontro di
Vicenza – è bastato il contratto con Stenmark (persino il governo di
Tito ci ha messo dei dinari sopra, ndr) per uscire dall’anonimato. la
forza
la
Federazione italiana dello sci non ne tira le conseguenze a
vantaggio della nostra industria”.
La questione non riguarda soltanto la bilancia commerciale dei
pagamenti. C’è di mezzo anche il consumatore che alla lunga
patisce un drastico meccanismo di mercato: i prodotti stranieri
hanno l’handicap della tassa d’importazione; per superarlo hanno
bisogno delle pubblicità da parte dei campioni che contano su
piazza; debbono quindi entrare nel pool dei prodotti usati dalla
valanga azzurra e, per riuscirci, offrono di più.
Alla fine succede che il prezzo degli sci o degli attacchi sale
artificiosamente contagiando anche il prezzo dei prodotti italiani:
nella consumistica deformazione dell’acquirente medio, prezzo più
alto significa, infatti, qualità migliore. Tenendo prezzi realistici si
finirebbe con il presentarsi sul mercato con un’immagine di
seconda categoria.

traente di un campione è oggi

formidabile, ma

il responsabile

Inoltre, il pool è un “orto chiuso” come lo ha chiamato Dal Lago, e
le industrie italiane che vorrebbero entrarci si trovano di fronte a un
muro pressoché imperforabile. Il no o il sì è affidato formalmente al
consiglio federale ma in realtà a dire la parola decisiva può essere
un Cotelli,
tecnico, secondo criteri di una
discrezionalità inammissibile per una federazione.
La Fisi è affiliata a un ente pubblico come il Coni e i contratti degli
enti pubblici andrebbero stilati alla luce del sole, per asta o
licitazione privata. Accade al contrario che pochi e interessatissimi
intimi fanno il bello e il brutto tempo nei miliardari dintorni del pool.
Il problema è massiccio, da qualunque parte lo si affronti, e
meriterebbe molta attenzione da parte dei politici. La nazionale di
calcio che calza Adidas (tedesca) e la nazionale di sci che tiene i
piedi su qualsiasi staffa non ci stanno bene. Oltre tutto, come ha
opportunamente concluso l’avv. Dal Lago, “nessuno farebbe dei
sacrifici”.
La denuncia è fatta. Chi tace ora deve avere il morto, pardon il
pool, nell’armadio di casa.