1976 luglio 14 Il treno degli azzurri ha già fatto il record

Il Gazzettino, 14 luglio 1976

Il treno degli azzurri ha già fatto il record
Il friulano De Candido guida il quartetto

Nostro inviato
Montreal, 13 luglio

4’24” netti, tempo « mondiale » su pista coperta della quattro chilometri di inseguimento a
squadre! Migliorando di qualche centesimo il limite della Germania Ovest, l’exploit appartiene al
quartetto De Candido – Collari – Saronni – Cipollini che l’ha realizzato venerdì scorso al Palasport
di Milano. Per vincere qui a Montreal, tutti e quattro sono convinti che serva un tempo ancora più
esiguo, 4’23”, forse un 4’22”.

Ho visto la bicicletta di Rino De Candido, naturalmente fatta su misura (è alto 1 metro e 82)
e curata dal meccanico Zanella. Non è una bicicletta ma un’astrazione, stilizzata quanto potrebbe
essere il « progetto » di una bici negata non dico all’uomo della strada ma persino al corridore
stradista.

Pesa 6 chili, come portarsi appresso la borsa della spesa il giorno del mercato. E li pesa pur
dovendo marciare a una media di 54-55 all’ora. Lo scatto è fisso, i freni non esistono e, prima
ancora che sul manubrio,
i freni naturalmente non esistono nel cervello dei quattro
dell’inseguimento. Inseguimento che, vedi certa evoluzione dell’atletica leggera, è anch’esso una
prova di velocità pura, un lungo sprint.

Di un sofisticato titanio, con meccanica leggera quanto una piuma e con tubolari al massimo
di 90-100 grammi, questo telaio regge un atleta di 74 chili, peso al… netto vista la maglia in seta e i
pantaloncini in filanca, tutta una serie di alleggerimenti per penetrare meglio in quel tunnel del
vento che è un quartetto in pista.
De Candido è un friulano, pordenonese di Domanins paese agricolo che non arriva ai 2000

abitanti. Ultimo di quattro fratelli, ha perduto la mamma quando era ancora ragazzo e forse non
sarebbe uscito dal podere del padre se dalle sue parti non si fosse fatto sentire il fascino di Pancino,
ex campione del mondo di inseguimento a squadre.

Cresciuto nella Stefanutti, passato alla Despar e poi alla Padovani, De Candido fa ora parte
della Forestale: nonostante i 22 anni compiuti da appena un mese, un giorno il titanio gli verrà a
noia e allora, faccia sobria e aria riservata, si rifugerà forse in divisa a controllare i boschi. Per
adesso, l’unica cosa da guardare con millimetrica attenzione è un tubolare che gli scorre davanti, la
ruota posteriore del compagno durante le fulminee rotazioni del quartetto.

« La pista di Montreal è di legno buono, ma è corta » racconta De Candido che qui corse il
mondiale di due anni fa. I quattro inseguitori si daranno il cambio ogni 250 metri; il primo
allargherà con un morbido battito d’ala e andrà in ultima posizione. La perfezione di un quartetto
consiste nel riuscire a fondere quattro biciclette in una, quasi non esistesse soluzione di continuità.
Per questo, tra ruota e ruota, tra corridore e corridore, non deve esserci una distanza superiore a un
centimetro, un centimetro e mezzo!

La virtù di quelli come De Candido è il colpo d’occhio, una misura ormai recepita nella
retina, una abitudine a sfiorare senza toccare. Mica ti arriva per caso il colpo d’occhio. Lo conquisti
a forza di giri in pista, di amalgama; a forza anche di cadute che fanno parte di questo strano
mestiere di pistard. A guardare le loro biciclette, capisci che non ci deve essere più spazio al
progresso e che, a questo punto, la selezione sta soltanto nei talenti e nell’allenamento.

A parte un mesetto passato in Friuli, gli altri undici mesi dell’anno De Candido li ha
trascorsi un po’ dappertutto, sempre con quell’arnese di sei chili appresso, cercando in èquipe
l’automatismo, sostantivo quest’ultimo che mette persino a disagio trattandosi di uomini.
La cosa peggiore che possa accadere nell’inseguimento a squadre è che uno dei quattro vada

in debito di ossigeno e metta in crisi tutto il meccanismo. I cambi s’allungano, la fatica non si
distribuisce alla pari, il quartetto diventa terzetto soprattutto per l’irritante sensazione di essere
zavorrati.

Perciò la forma e l’anti-crisi vengono di lontano. Dalla ginnastica di inverno, dalla
ossigenazione in montagna, dai ritiri come l’ultimo alla Pinetina di Appiano Gentile, campo base
dell’Inter. Se i velocisti puri si basano sul lavoro ai pesi, gli inseguitori puntano più al footing di
grosso calibro, alla costruzione di un fiato che deve resistere quattro chilometri a 55 all’ora.

Affrancati dal doping, i ciclisti possono trovare la « bomba » nella dieta. Una dieta ordinata,
senza grandi tabù ma duratura. Niente attentati al fegato con grassi, cibi piccanti, alcolici. Niente
bevande gasate. Molti zuccheri e caterve di vitamine, roba da dare il colorito roseo anche a un
cinese.

Su tutto questo retroterra, undici mesi di preparazione specifica, De Candido ci sorride sopra
con tutta friulana filosofia, non vuol pensare alle due Germanie, alla Russia, alla Polonia, alla
Inghilterra che non sono l’èlite dei quartetti. Non vuol nemmeno pensare che, quella
dell’inseguimento a squadre, è stata una lunga favola italiana dalle Olimpiadi degli anni ’20 a quelle
degli anni ’60 e che, a parte la scherma, il ciclismo ha portato all’Italia più medaglie di tutti gli altri
sport.

« Andiamo forte » sussurra soltanto e, lo sguardo di chi confida un piccolo segreto, aggiunge
quasi per distrarsi: « Ai campionati italiani di Pordenone, dopo Montreal, vorrei lasciare
l’inseguimento e tornare alla velocità ». Si, perché nel ’71 Rino De Candido fu campione nazionale
della velocità allievi. Un po’ inseguitore, un po’ sprinter, questo è un campione vero. Non a caso lui
e Da Ros sono i soli che il ciclismo triveneto sia riuscito ad accreditare qui.