1976 agosto 5 I superatleti si fabbricano

1976 agosto 5 – I superatleti si fabbricano

Ogni anno negli Usa vengono consumati 13 miliardi di dosi di calmanti e di stimolanti: l’ansia e il
bisogno di evadere dalla realtà hanno aumentato in tutto il mondo il ricorso ai farmaci. In contrasto
con tale crescita si è fatto sempre più il controllo sugli atleti soprattutto dopo che un’inchiesta svolta
nel 1967 per conto del Cio scoprì che oltre 30 erano morti per essersi drogati.

“ Malattie dell’apparato respiratorio, mal di stomaco e diarrea sono i disturbi più frequenti al
villaggio olimpico” ha precisato il prof. Ted Percy, responsabile sanitario della squadra canadese.
Per consentire la cura efficace di questi malanni, è stato aggiunto qualche prodotto all’elenco dei
leciti ma gli atleti ne hanno sempre dovuto preannunciare l’uso con certificato medico. In caso
contrario sarebbero finiti al setaccio del controllo anti – doping, soprattutto quelli in cura per forme
di asma.

Presieduta dal principe Alessandro de Merode, la commissione medica delle Olimpiadi ha eseguito
quest’anno tre tipi di controllo. 1) sul sesso; 2) sul doping; 3) sugli anabolizzanti.

Un test con prelievo di mucosa dalla bocca e, in subordine, una visita ginecologica stabilivano il
sesso dopo che è stata anche recentemente appurata l’esistenza di donne tanto finte da venire alla
fine private delle vittorie ottenute. Per rispetto alla femminilità di ciascuna, l’esito dei controlli non
è stato reso pubblico, con molta discrezione veniva semmai ingiunto all’interessata, o meglio…
all’interessato, di non partecipare alle gare.

Il controllo anti- doping funziona da deterrente contro l’uso di stimolanti di ogni specie, da quelli
psichici come l’anfetamina o la cocaina a quelli del sistema nervoso come l’efedrina e la stricnina.
Anche i narcotici, del tipo morfina, sono assolutamente al bando.

La lista dei farmaci-sì e dei farmaci- no solleva ogni volta altre discussioni nelle quali si mescolano
motivazioni sanitarie e interessi commerciali. Per esempio il “Visine” della Pfizer Company, viene
definito del tutto pulito dal suo produttore mentre i medici, fiutando composti di efedrina,
sostengono che non doveva essere venduto nel farmacie del villaggio olimpico. Sbagliare prodotto
in una gamma non sempre agevole per l’atleta, può significare vincere sul campo e poi perdere a
tavolino: proprio il canadese Joan Wenzel ,medaglia di bronzo a in giochi Panamericani, ne sa
qualcosa di queste cancellature per reato chimico.

A consolidarsi qui a Montreal è stato soprattutto il controllo, con test radio immunologico, per
scoprire prima e identificare poi i famigerati anabolizzanti steroidei, derivati in sintesi del
testosterone, dunque capaci di anche modifiche ormonali e muscolari su un atleta.

“ Siamo state messe al mondo per essere donne! – ha dichiarato la ranista americana Wendy
Boglioli, grande amica di Shirley Babashoff – Se anche noi ci gonfiassimo i muscoli in laboratorio,
saremmo alla pari delle tedesche orientali”. La polemica sull’impiego degli anabolizzanti rimane
più che mai di attualità ,e si presta a tutte le speculazioni anche perché, per sfuggire al controllo,
basta cessarne la somministrazione 40 giorni prima. Si tratta infatti di una sorta di vaccinazione, la
cui reazione non è esterna. Pur tuttavia, nei giorni scorsi tre atleti sono stati pescati e squalificati:
una lanciatrice di peso e due sollevatori, la miss-muscolo e i suoi mister-bestione.

Farmacologia a parte, l’atleta espresso dalla Olimpiade ’76 è negli sport-guida un mosaico sempre
più complicato, sballottato tra medici, fisiologi, psicologi, tecnici, preparatori o “organizzatori di
vita” come si è originalmente definito Azzaro, fidanzato-allenatore di Sara Simeoni. Il campo è

oggetto di continui studi ma non è ancora matematica e quindi molte scelte sono soprattutto
empiriche, a livello sperimentale.

Direttore del Centro di Medicina dello Sport di Roma ed eletto a Montreal vice-presidente della
Federazione internazionale dei medici sportivi, il prof. Antonio Venerando mi ha dichiarato a
questo proposito: “Per ottenere delle dosi etiche, bisogna provare. D’altra parte in scienza non si
può sperimentare tutto e in Italia finirei dritto sotto processo se mi saltasse in mente di
somministrare anabolizzanti a un atleta-cavia o a un giovane per studiarne le reazioni”.

I medici di sport la chiamano la “triade”dell’atleta-forzato una combinazione di allenamento, di
steroidi e di dieta iperproteica: ma per ognuno di questi elementi esiste un interrogativo. Quanto
carico di lavoro? Quale dose di anabolizzante? Come calibrare le proteine? Nella ricerca di una
risposta i più avanzati sono i tedeschi, sia dell’Ovest che dell’Est, anche se con prevalenza di questi
ultimi. Gli Usa non hanno ancora una visione applicata dell’atleta da competizione; propensi come
sono al superlativo, certi loro istituti si dedicano piuttosto allo studio della “massima performance”,
una scienza non integrata e che si limita a fissare in teoria la potenza massima-uomo.

Assieme a Francia e Germania, la tradizione medica dell’Italia è forte: anzi, è proprio da noi che
negli anni ’20 nasce la medicina sportiva. Il nostro handicap, nel tentativo di non essere tagliati
fuori dal cosiddetto progresso, sta oggi nei mezzi e negli strumenti. Con oltre 50 milioni di abitanti,
l’Istituto di Roma ha a disposizione 9 medici; quello tedesco orientale di Lipsia 90, nonostante una
popolazione di 17 milioni.

Come spesso accade, l’Italia riesce perciò a soltanto a “inventare” i suoi contributi, che non sono
comunque da poco e puntano alla specializzazione: traumatologia, cardiologia, fisiologia
dell’esercizio. Inoltre, in sintonia con gli scandinavi, l’alimentazione con un occhio particolare al
problema delle scorte energetiche sotto sforzo e alla quantificazione delle vitamine B1 e C, la prima
per disintossicare dall’acido lattico, la seconda per favorire il lavoro muscolare.

Nell’era in cui la medicina cerca di intervenire artificiosamente sull’atleta fino a “forzarne la
natura” come denuncia Venerando, si assiste d’altra parte a un fenomeno inverso: la recentissima
tendenza a demitizzare la dieta e a individuare la patologia da sovraccarico, cioè il danno provocato
dal troppo…allenamento: “ E’ un tema tutto da scoprire – chiarisce Venerando – ma sono in molti a
cominciare a credere che parte del superlavoro sostenuto da un atleta non serva a nulla”.

Sesso, doping, anabolizzanti, staff di medici, laboratori, allenamento, proteine, vitamine, dieta. Non
dimenticando nemmeno le ampie selezioni di razza par fare di un piccoletto un peso mosca e per
ottenere un pivot da una allucinante donna di 2 metri e 10 centimetri come la cestista sovietica-
lettone Ioulianka Semenova, ci troviamo di fronte a una evoluzione che continua a intaccare il
concetto di limite dell’exploit. Se infatti nella velocità il margine al progresso è pressochè esaurito,
nelle medie e lunghe distanze dell’atletica e del nuoto o nel settore dei lanci e degli sport di mera
potenza, tutto è ancora perfettibile.

Il fenomeno non va rifiutato ma soltanto agganciato a una visione morale dello sport. Soprattutto
per noi italiani, esigenza numero uno è che lo sport possa essere fatto da tutti per tutta la vita: solo
così si avrà vero ricambio di atleti e spontanea selezione di massa, non un Mennea o un Fiasconaro,
a tal punto soli e responsabilizzati da diventare il totale di una specialità.

“Sport per tutti”: è ripetendo questo urgente slogan che concludo l’ultimo articolo da Montreal. Una
speranza giovane sullo sfondo dei “Superman” della XXI Olimpiade.