1975 ottobre 21 Gigi Agnolin perché non diventa larbitro del tempo pieno

1975 ottobre 21 – Gigi Agnolin, perché non diventa l’arbitro del
tempo pieno?

L’estate scorsa Gigi Agnolin s’era fatta crescere una barba anarchica
tale da mimetizzare “il volto innocente e benpensante” come l’ha
descritto Arpino. Un giorno a Vicenza quasi non lo riconoscevo.
Avvicinandosi il campionato Agnolin diede mano al rasoio e ripristinò
un profilo formato tessera, quello che piace ai “senatori a vita” delle
gerarchie arbitrali.
Nonostante l’aria a volte pigra, quasi sopita, Agnolin jr è un frenetico.
Insegna a nuotare ai bambini di Bassano, organizza sgambade,
anima raduni di arbitri ad Asiago, viaggia. Quest’ultimo è il vero
hobby di Agnolin, hobby che si paga di tasca propria, da autodidatta,
convinto che occorra vedere football all’estero per essere un buon
arbitro in Italia.
Esigenza di internazionalismo e di aggiornamento che interessa non
solo il calcio ma, per esempio, anche il basket. Pur tenendo sempre
sempre gli statunitensi al vertice dei valori, proprio la scorsa
settimana Cesare Rubini ha parlato di arbitri italiani a livello europeo:
nel 1975 non si può più discutere di sport professionistico in termini di
stretto orizzonte. L’autarchia non è moderna.
Dalla sua professione di insegnante di educazione fisica Agnolin ha
ricavato la preparazione, l’essere atleticamente in ordine. Sarà molto
difficile che a lui capiti un episodio come quello toccato ieri a Ciulli di
Roma che durante Inter-Cagliari ha espulso Nicolai dopo essersi
“Si vergogni, noi siamo
sentito
professionisti e non possiamo permettere che il nostro lavoro dipenda
da una persona fuori forma”.
Dai suoi viaggi all’estero Agnolin ha invece cominciato ad apprezzare
due cose: la virilità e disciplina dei giocatori soprattutto anglosassoni.
Agnolin stima il calcio del Nord per i tackle senza piagnucolamenti,
per quel cadere e rialzarsi senza tante manfrine, per quella
imperturbabilità agonistica che evita all’arbitro e al pubblico tutta una
serie di fastidiosissime discussioni in campo.
Ora, se questo è il retroterra culturale dell’anglosassone Agnolin,
stupisce non poco vederlo a volte preda dei giocatori in un pedante
scambio di spiegazioni e raccomandazioni com’è accaduto in Juve-
Fiorentina. Non si può ogni volta mimare il senso delle proprie

rinfacciare queste parole:

decisioni, non si può farsi per magnanimità coinvolgere in un dialogo
che ruba agli spettatori un sacco di tempo effettivo di gioco e che da
agli scaltrissimi giocatori un incentivo a discutere o protestare. Non lo
consente nemmeno il regolamento che affida i rapporti con l’arbitro
soltanto ai capitani delle due squadre.
In questo settore Gigi Agnolin ha una grande occasione: d’essere
erede non tanto del padre Guido ma di Lo Bello e Angonese. Il
“professore” di Bassano può cioè fondere la signorilità di Angonese e
la fermezza di Lo Bello, può risolvere quello che è un problema
ancora insoluto del nostro campionato: la messa al bando dei
calciatori fifoni, signorine, simulatori, chiacchieroni, provocatori e
comizianti.
Non si tratta d’inseguire una definizione personale come accadde un
giorno a Gonella, l’arbitro dei rigori. Si tratta invece di sfruttare il
proprio fisico d’atleta e la propria esperienza da arbitro di mondo per
dare un esempio di come si debba gestire la disciplina in campo.
Disciplina che in questo caso non evoca persecuzioni o lesioni dei
diritti dell’uomo, ma soltanto la salvaguardia di chi paga il biglietto
d’ingresso.
Poco tempo fa, nell’assoluta segretezza che contraddistingue gli
affari arbitrali, Agnolin fu sospeso per circa un mese. In un’innocente
intervista aveva osato accogliere con simpatia l’ipotesi di un Rivera
dirigente, ipotesi che ad Artemio Franchi stava nel gozzo. Se questa
è la libertà che imperversa all’interno della Can, Agnolin si dovrà
rassegnare a star zitto. Ma c’è un posto dove si potrà vendicare: in
campo, dove il silenzio è veramente d’oro, e più si tace più si gioca.
Gigi Agnolin ha l’occasione per diventare l’arbitro del tempo pieno.
Non la sprechi.