1975 febbraio 28 Io punto su Moser e Fraccaro

1975 febbraio 28 – Io punto su Moser e Fraccaro

Nel suo stabilimento di Bologna ha prodotto delle fusioni per il
progetto San Marco, ma l’unico piacere dello “spazio” l’ha
assaporato a Houston quando il direttore del centro Nasa gli
confidò: “ho una bicicletta con il suo cambio”.
Tullio Campagnolo avrà 74 anni in agosto. Del ciclismo è stato
tutto, corridore, inventore, industriale, finanziatore, patron. Guida
una Mercedes azzurrina, silenziosa come il fiato: “modestamente,
e toccando ferro, non ho mai preso un palo”, anche perché l’alter
ego Mantiero gli fa da secondo pilota.
il risotto, Egidio serve speck calibrandolo con
Aspettando
sauvignon. Tarchiato, occhi cespugliosi, il commendatore sgrana
carote e radicchio, il fiore che si mangia dice lo slogan. A tavola c’è
una porzione di ciclismo veneto, con appendice friulana: Flavio
Martini e il suo ds alla Crich Cesare Pinarello; Guido Manfé
manager del trofeo tricolore e Remigio Zanatta ex direttore
sportivo della Filcas.
Tullio Campagnolo segue corse da almeno venti anni: “E ho
sempre indovinato – sorride con le poderose mascelle – nel
giudicare i giovani, dai tempi di Bevilacqua fino a Battaglin”.
– Faccia una classifica allora…
“Primo Francesco Moser, poi Baronchelli e Battaglin. Però, oltre
che su Moser, io punto anche su Fraccaro (Simone, classe 1952,
castellano, ndr)!”
– Lo dice oggi, forse perché siamo qui, a due passi da
Castelfranco?
“No, no, niente affatto. Lo vidi la prima volta alla Tirreno-Adriatico
e proprio a Zanatta chiesi subito “chi è quel biondo?” Lo stimo
perché ha polmoni, cosce e temperamento: ricordo che un giorno,
verso Lavarone se ben ricordo, cadde male, pioveva, eppure si tirò
su, tenne duro. Ha bisogno soltanto di un po’ di esperienza ma è
un bel giovane”.
Quasi quarantenne, il faccione carico che sarebbe piaciuto a
Pasolini per
lui che
raccomandò alla Bianchi Campagnolo l’assunzione di Fraccaro:
“Al giro era andato con la bronchite addosso eppure non ha messo
piede a terra, è uno solido che arriva sempre”.
Non lo confessa apertamente, per una sorta di benevolenza
globale che non discrimina tra un giovane e l’altro, ma con
Fraccaro l’ideale di Campagnolo è Moser “perché attacca sempre”.

il Decamerone, Zanatta annuisce. Fu

Mentre teme che Baronchelli ragioni troppo sovrastando l’istinto
con il calcolo.
– Commendatore, da come parla dei corridori d’oggi, scommetto
che lei era più per Bartali che per Coppi…
“Beh sì, Bartali era un corridore onesto, uno che non si ritirava
mai, uno che non rinunciava, per questo lo ammiravo. Coppi era
grande ma aveva molti amici fuori dalla sua squadra… Per
esempio lui non andava mai allo sbaraglio nelle volate, soprattutto
quelle che finivano in pista. Con una mano della Federazione e
della Gazzetta, il tempo venne preso all’ingresso, prima dello
sprint, uno sprint che costava tanta fatica e tanto stress: Coppi
insomma si risparmiava, andava in carrozza per molte tappe con
tutti i collaboratori che aveva in squadra e fuori, per dedicarsi poi
alle Alpi”.
– Non abbiamo parlato di Merckx.
“Un genovese come Coppi – sogghigna Campagnolo – quando si
tratta di fare l’ingaggio!”
“Ma i milioni li merita – interviene Zanatta – Merckx è un’altra
categoria, se andasse all’Inter vincerebbe lo scudetto”.
Merckx, l’asso che ha in dotazione 15 biciclette, “è l’unico
supercampione” conclude il commento.
A sentir quel sostantivo, supercampione, leggo negli occhi di
Martini un orgoglio tutto provinciale di essere pure lui parte di
quella immensa filastrocca della fatica che in Merckx si fa arte.
Martini è di Galliera Veneta, ha trenta anni, ex azzurro, tifoso della
Fiorentina. Porta sulla mano e sull’anca grosse scorticature perché
l’altro ieri, in allenamento, è volato su un tubo caduto da un camion
in corsa.
Gli chiedo che spieghi in un attimo, in una sensazione, quel suo
sport da soma, tutto sudore e asprezza. Spalanca gli occhietti,
quasi impaurito: “Non mi vergogno a confessare che alla fine di
una tappa del Giro non avrei riconosciuto mia madre, niente. Una
volta, con il vento contrario, ho perso per dieci metri il sacchetto
del rifornimento: ero disperato, a fianco della strada correva un
burrone e mi ha preso la tantazione di buttarmi giù, che almeno
fosse finito quello sforzo sovrumano. Io ho anche giocato a calcio
ma non c’è confronto come fatica, roba da ridere”.
Pinarello lo guarda e ricorda, meglio oggi da ds che ieri da
corridore? Trevigiano, Pinarello fu olimpionico a Helsinki nel ’52 e
a Melbourne nel ’56. Fu proprio lui, era ancora allievo, a battere i
trecentotredici partenti del primo gran premio… Campagnolo: a

sentirselo ricordare, il Commendatore quasi mette la lacrima anche
perché quello era il giorno, il 4 maggio 1949, in cui il Torino morì
sulla collina di Superga.
Come spesso accade con gli amici del ciclismo, l’atmosfera si fa
carica di nostalgia. Chiedo a Campagnolo: qual è soprattutto la
differenza tra il ciclismo epico di ieri e quello tecnicissimo di oggi?
“Ai miei tempi – sospira Campagnolo – era la strada che dettava
legge. Le mezze figure, i succhiaruote, non potevano esistere
perché era impossibile stare nel vento degli altri, come andare in
salita. Oggi invece noi vediamo che Merckx dà sei minuti al Giro di
Sardegna e si porta dietro altri corridori che non ne valgono
nemmeno un’unghia. E poi una volta, al Giro, partivano 10-15
squadre ma dopo due minuti era un affare privato della Bianchi e
della Legnano di Binda e Girardengo e via”.
Quanto tempo è passato dai tempi della Legnano. Quanto tempo è
passato da quando, erano gli anni ’50, Campagnolo cominciò a
fabbricare a mano i primi cambi nel retrobottega del padre che, a
Vicenza in Corso Padova, aveva un negozio di ferramenta. Quanto
tempo è passato dall’autarchia ad oggi, con la sua azienda che
esporta l’80% della produzione. Quanto tempo è passato dal
ciclismo popolare al ciclismo industriale, dove una squadra per
essere grande costa anche 350 milioni all’anno. Quanto tempo è
passato dai giorni degli epici racconti radiofonici all’indegna
trascuratezza televisiva dell’oggi. Quanto tempo è passato sotto
tutti i ponti del ciclismo.
Ma basta essere un paio d’ore davanti a del sauvignon di Fior per
ritrovare la voglia di pensare al domani di questo sport, un tutt’uno
con il suo passato, come quando, ai tempi di Girardengo, “chi
forava si metteva ai margini della strada, strappava il tubolare
afflosciato, talvolta aiutandosi con i denti. Quando la strada
cominciava a salire, bisognava fermarsi e girare la ruota perché i
cambi a levetta da manovrare in piena corsa non erano ancora
stati inventati”.
Il giovane Renzo Dall’Agnese sta in silenzio. Deve aver la
sensazione che si tratti di una favola. Ma è solo la verità, dai
tubolari di Girardengo al burrone di Martini che differenza passa?
Nessuna.
E questa è l’autentica magia delle piccole cose del ciclismo: ci
vorrebbe Pascoli a dirle, non io.