1974 dicembre 30 Non tutto va sulla groppa del Dottor Fuffo

1974 dicembre 30 – Non tutto va sulla groppa del Dottor Fuffo

Genova, 29 dicembre
La comica di fine anno. Zero a zero con la Bulgaria di quasi tutti bebè e che tipo di zero a zero! Partita
opportunamente sottolineata da una ventata di cuscini nel cielo di Genova e da un sibilo tanto forte
che sembrava uscire da una sirena del porto più che dalle gradinate dello stadio.
Anche con Valcareggi era accaduto un giorno, esattamente a Cagliari con la Spagna, che la gente
avesse finito per sganciare in campo agrumi e pagnottelle. Ma mai, negli ultimi anni di calcio azzurro,
abbiamo assistito ad una partita tanto pellagrosa dove non riesce possibile dare un voto appena
positivo a più di un paio di giocatori.
Adesso tireranno fuori che dipende dalle due ali di ruolo! Secondo tale ideologia paleolitica,
sarebbero le tre punte il cancro della Nazionale come se tre punte non le avesse, per esempio, anche
la Bulgaria. Non nascondiamoci come spesso accade dietro il dito mignolo. Questa Nazionale non ha
giocato perché nessuno ha fatto gioco. Sembra una sciarada ed è invece la pura verità. Il bello è che
non lo ha fatto mai, né prima con Causio-Furino né poi quando al loro posto il Cu ha buttato in campo
due podisti, Guerini-Re Cecconi.
Avevamo temuto già in sede di presentazione la mancanza di linearità e di fondo in Causio e
Antognoni. Non potevamo prevedere a quale fastidioso anti-calcio sarebbero arrivati proprio nella
zona che alle mezze ali richiede testa alta, altruismo, gioco di prima.
Casio ha fiorettato come fosse un merletto superfluo della Nazionale. Conquistato pallone, perdeva
ogni volta il momento buono per triangolare o per servire il lancio in aria. Antognoni ha poi
moltiplicato il vizio all’ennesima potenza. Ha sempre amato il dribbling quasi fosse il suo
indimenticabile primo amore. La battuta perentoria gli è uscita di memoria, come svanita, una Ofelia
di centrocampo.
“A me piace il gioco armonioso”, predica Bernardini, Don Chisciotte sulla panchina del fu-
Valcareggi. E il gioco armonioso non l’hanno saputo inventare nemmeno gli esteti. Figuriamoci gli
altri. Gente autenticamente brocca nel tocco e deserta nell’invenzione. Pensate a Guerini il cui piede
puzza di porfido lontano un miglio. Il pubblico non ci ha messo molto a capire quanto male era
capitato e, per sfottò, ha cominciato ad applaudire anche i tackles più semplici, più elementari dei
nostri difensori.
Prima di arrivare allo stadio ero stato a colazione da “Edilio”. E lì avevo incontrato Maraschi, Bedin,
Santin, Poletti. Con Maraschi si parlava di generazioni del football e il vecchio Mario era concorde
nel dire che questi presunti assi di oggi sono dei gran bambinoni, gente povera di personalità e, anche,
lenta nel conquistarsela, questa personalità.
È stata una diagnosi quasi profetica perché in campo s’è visto poi come il futuro sognato da Bernardini
passi attraverso giocatori che, prima di essere dei campioni, non sono nemmeno personaggi nel senso
più comprensivo della parola.
Quasi tutti sono sembrati infatti presi dalla stessa ciò che poteva dare, ai tempi della “scuola
repressiva”, il nostro esame di maturità liceale.
Boninsegna con il suo terrore di non più segnare in vita; Causio straconvinto di poter reggere
reputazione solo nella Juve; Furino ossessionato di dimostrare qualcosa dopo essere stato per un anno
epurato; Santarini estratto più inattesamente di un coniglio dal cappello di Silvan; Rocca che è un
ragazzo timidotto ovunque. Poi altri giovani leoncelli come Antognoni e Damiani che si sentono
puntati dal riflettore. O un terzino-locomotiva nella Lazio che, come Martini, qui pare ridotto a un
trenino per bambini.
Insomma, una Nazionale da psicanalisti, piena di ombre oltre che di limiti di classe già
abbondantemente collaudati. Non a caso sentivo Giovanni Brera alzare la voce: “Forza Cremona!”, e
Giglione Panza, seduto accanto a noi, malinconicamente brontolare: “Nazionale anonima”.

Dalla panchina Bernardini le ha tentate tutte. Ha spostato Damiani a sinistra per aprire il corridoio di
destra a Rocca. Poi ha lanciato Chiarugi quasi doppio centravanti sul fianco di Boninsegna.
Nell’intervallo ha messo a cuccia il fallosissimo Furino e l’involuto Causio. Ma la tecnica di Guerini,
almeno quello visto a Genova, è parsa grottesca, né Re Cecconi è riuscito a mettere lievito in quel
mattone sullo stomaco che era lo schema della Italietta nostra.
In tali penosissime condizioni di fondo, le palle-gol sono fra l’altro state poche senza contare che un
paio almeno appartengono alla Bulgaria. Una Bulgaria fresca, veloce, durissima nelle marcature e
sistematicamente pronta ad avventarsi sul primo dei nostri giocatori in possesso di palla.
Per chi supponeva un minuetto, non è stato il tempo di seguirlo. Per chi pensava di vincere sulla corsa
e sul ritmo, non c’è stato il confronto. Oltretutto, la politica di Bernardini non aiuta certo la Nazionale
a risolvere i problemi di telaio. Bernardini tre volte ha giocato, con due sconfitte e un pareggio
sconfitta. Ma non è questo il punto. Il fatto è che, dopo aver visionato qualcosa come 65 giocatori, il
Cu continua a cambiare dalla notte al giorno, non solo nelle formazioni ma anche nei moduli.
Così facendo, alla ricerca – dice lui – di 22 giocatori ideali, i collaudi sanno sempre più di
provvisorietà. Non corre un minimo di amalgama in squadra e forse i nostri vezzeggiatissimi
campioni soffrono anche un’ennesima bua che è la peggiore perché psicologica: ogni volta si sentono
cioè sul banco di scuola, ogni volta sentono che può essere la prima e anche la loro ultima volta.
Continuando di questo passo andrà a finire che con la maglia azzurra, per eliminazione, giocherà la
Triveneta di serie D.
Un pregio però, questa partita l’ha avuto: quello di non essere stata amichevole. Dopo un quarto d’ora
di sogni d’oro ci ha infatti pensato lo spicciativo Boninsegna a rompere l’idillio, con un calcio al
centravanti bulgaro e, più tardi, con un cazzotto da espulsione al mediano. Da quel momento l’arbitro
Gonella ha diretto come si trattasse di un match vero, con il risultato che conta. Non c’è stata dunque
finzione, embrassons nous. No, su questo piano tutto regolare e ampiamente onesto. Impegnati si son
tutti ma, poveretti, in molti non ce la facevano proprio.
Questo maledetto (o realistico?) 1974 si chiude con uno 0 a 0 in casa che vale ampiamente una
sconfitta. Non ci sono amichevoli che tengono. Con quelle, Fabbri e Valcareggi riuscivano a camparci
a manciate di gol. Bernardini pare pure jellato: nemmeno quelle gli servono a irrobustire un contratto
che scade a giugno ma che potrebbe scoppiargli in mano anche prima.
D’altra parte, pur essendo la gestione del dottor Fuffo piena d’incongruenze, non ci sentiamo di
addebitargli sulla groppa l’intero 0 a 0. Stiamo ripetendo da anni, fino alla nausea dei pazienti lettori,
che il nostro è un calcio da terza fumatori e che il sole dell’avvenire non si riesce, con tutta la buona
volontà, ancora ad indovinare.
Confrontati al presente, i Riva, i Mazzola, i Rivera, i Cera, i Facchetti, i Burgnich assumono
dimensione di idoli. Da loro corre ancora tanta distanza. Da loro comincia a separarci anche la
nostalgia. In tribuna accanto a noi, Mariolino Corso rabbrividiva palesemente a vedere certe scarpate,
certe pedate cieche, certi calci fatti per estirpare erba piuttosto che suggerir gioco.
Con la Nazionale di Bernardini, una nazionale nata per deludere anche quando le si accreditano molti
gol, persino una Bulgaria assume dimensioni europee. C’è una unica maniera per reggere alle
delusioni di questo tipo. Non illudersi mai perché non abbiamo di che seriamente sperare.