1973 giugno 1 Rozzo fanatismo catenacciaro

la Coppacampioni! Questa

1973 giugno 1 – Rozzo fanatismo catenacciaro

Ci fosse stato Cuccureddu in campo dal primo minuto la Juve
avrebbe sicuramente vinto
la
conclusione di chi ha visto nelle “tre punte” il segno della paranoia
tattica, della presunzione dettata dal sentirsi alla pari con l’Ajax. Il
qualunquismo nostrano ha fatto nuovi adepti: prima era una
specialità degli offensivisti, senza radici nella realtà tecnica e
dunque nella nostra limitatezza: ora ha contagiato i cosiddetti
difensivisti, fideisticamente convinti che un robusto catenaccio
avrebbe partorito il contropiede capace di matare persino l’Ajax. Il
risultato sembra dar ragione a chi nega il buon senso delle “tre
punte”. Ma, dovessimo stare ai risultati, dovremmo per esempio
concludere che il Torino (piazzato sesto in campionato) è molto più
forte della Juve (dello scudetto) dal momento che alla vecchia
signora non ha lasciato nemmeno un punticino nei due derby
dell’anno.
Voglio dire che onestà critica impone di discutere ovviamente sul
modulo tentato dalla Juve contro l’Ajax; sostenere però che un
Cuccureddu al posto di Bettega avrebbe cambiato tutto, mi pare
gesto di rozzo fanatismo catenacciaro più che stima autentica
negli schemi.
Le tre punte sono state un’idea di Boniperti. Vycpalek subisce,
come è giusto. Allodi non era a priori contrario, ma aveva proposto
semmai questa soluzione: partire con un Haller ben “caricato” (in
tutti i sensi) e sostituirlo semmai con Cuccureddu al primo segno
impasse. Bettega è stata un’idea dell’ultimissima ora.
di
Cuccureddu ha saputo dell’esclusione soltanto ieri mattina. “Hai
visto che tiro m’hanno fatto?”, m’ha confessato stanotte al casinò
dove tutta la Juve è andata a puntare tutto ciò che aveva perduto
in coppa.
Leggerete da qualche parte che tutta la squadra era contro la
decisione di Boniperti. Non è vero. Lo posso smentire
tranquillamente. Il “gruppo Anastasi”, come viene chiamato (
Furino, Marchetti ecc.) condivideva la scelta a favore di Bettega.
Marchetti spiega: “Stando lì a subire in area, l’Ajax ci avrebbe
sicuramente schiacciati e non saremmo nemmeno riusciti a fare
contropiede, con due poveri pellegrini abbandonati in avanti.
Ricordo l’anno scorso la magra di Boninsegna a Rotterdam, solo in
mezzo a tre: non toccò palla. Con tre punti li abbiamo invece

occupati e preoccupati: non abbiamo segnato, ma soprattutto alla
fine del primo tempo l’1 a 1 era quasi fatto, ci stava intero”.
Lo stesso Kovacs ha confessato che questa Juve anticonformista
lo aveva messo in difficoltà, costringendolo a tenere quattro –
cinque giocatori costantemente in zona. Forse proprio per questa
ragione, nessuno è riuscito a vedere il grandissimo Ajax che tutti si
aspettavano.
L’Ajax ha mostrato che cosa sia il vero football soltanto nel primo
quarto d’ora, quando i giocatori della Juve non riuscivano a capire
nemmeno chi dovessero marcare! Non è una battuta, ma la
semplice verità. Proprio Bettega mi raccontava: “Loro hanno dei
numeri strani, che non corrispondono al ruolo. Certo, lo sapevamo
da prima, ma ti assicuro che per almeno cinque minuti abbiamo
girato cercando di capire su chi andare, urlando tra noi va’ su
quello, va’ su questo”.
Sembra una barzelletta: eppure, proprio in quei cinque minuti,
l’Ajax ha fatto il match-ball. Se gli olandesi hanno avuto il primo
quarto d’ora, la Juve ha monopolizzato su ottimo standard gli ultimi
venti minuti del primo tempo. La jettatura non stava nelle “tre
punte” che tanto scandalizzano, quanto nella pochezza individuale
di due punte su tre: e cioè Bettega e Anastasi.
Quasi tutti giurarono che Bettega è quasi quello pre-malattia. Sarà
anche esatto, ma dalla tribuna si vede purtroppo il contrario.
Otticamente parlando, sembra che gli manchino proprio le gambe,
come svuotate. Quanto ad Anastasi, dicevo il giorno della vigilia
che non stava da un po’ al suo maximum motorio. Non supponevo
d’altra parte che, proprio a Belgrado, scadesse tanto ruvidamente.
Più di una volta Anastasi si è trovato con un solo difensore tra sé e
il gol: in campionato lo vediamo fintare, sganciare il pallone due
metri avanti e battere a rete. Contro l’Ajax, pur con tutto il rispetto
per i difensori olandesi, il giochetto non gli è riuscito una volta che
sia una. Quando ha avuto due palloni da dirigere direttamente a
rete, s’è ridotto a palleggi superflui, roba da ammazzarlo.
La Juve incapace di reagire, in gol, s’è vista purtroppo in 30 minuti
di secondo tempo. Vero che Zoff ha dovuto inventare soltanto una
parata decisiva (su Haan) ma altrettanto vero che pure Stuy mica
ha dovuto sfracellarsi in area di porta.
Nonostante la pressione, la Juve sparava insomma a salve. Dei
gran botti, senza ferire. Con quel tipo di appoggi sui fianchi, Altafini
non aveva mai un triangolo da gol autentico: era dunque chiamato
a concludere soltanto “su
i 35 anni escono

lancio”, dove

(che aveva

letteralmente camminato

naturalmente tutti con il loro fatale freno. Fra l’altro, ma questo è un
rilievo che prescinde da Belgrado, la Juve non possiede né un
Suarez né un Cinesinho, cioè gente che mette gli occhi al pallone
fino a 30-40 metri di distanza. Lo saprebbe fare in certa misura
Capello che non tiene d’altra parte statura europea.
Oltretutto la Juve ha sbagliato alcune cose apparentemente
secondarie, ma poi mica tanto trascurabili. Per esempio la partita
d’allenamento (45 minuti tirati sotto un sole caldo) il giorno prima
del match invece che due giorni prima. Allodi si era opposto,
sostenendo che a fine stagione i giocatori sentono soltanto la
necessità di vedere il pallone il meno possibile. Sarà un caso, ma
proprio Altafini
in
allenamento) è stato elogiato anche da Cruyff, mentre Anastasi (il
più furente il giorno prima) ha sciolto rapidamente la cera, come
una candelina sulla torta del compleanno.
Dalla panchina poi, Vycpalek assomiglia moltissimo a Valcareggi:
esegue in stato di apnea. Per aumentare il genio, infila al 63′
Haller: e sta bene. Ma toglie un altro giocatore di genio: Causio.
Quest’ultimo era certamente calato per lo sforzo, ma in quelle
condizioni sarebbe servito più di Capello o più dello stesso Furino.
Uscendo di campo, Causio ha rifilato all’allenatore un’occhiata di
autentico disprezzo.
Sul piano delle pubbliche relazioni e dell’ambiente, Boniperti e
soprattutto Allodi avevano realizzato un capolavoro. La stessa
minuziosa attenzione non è stata riservata da Boniperti – Vycpalek
al momento tecnico. Se l’Ajax ha ottenuto tutto nel primo quarto
lo deve certamente al golletto di Rep (colpendo di
d’ora,
sovrafronte invece che d’impatto ne è uscito un quasi-pallonetto
sfottente), ma lo deve anche alla fasulla posizione di Capello:
posizione che, prevista a tavolino, doveva essere riobbligata
categoricamente dalla panchina. Con Cruyff che debordava
trascinandosi la zavorra-Morini, Capello sarebbe dovuto infatti
rimanere in posizione di centro mediano metodista a coprire
l’imbuto centrale, dove s’infilava l’uomo in più dell’Ajax per il cross,
compreso quello a Rep. Capello restava
in spazio
avventuroso.
D’altra parte, possiamo stare qui a spiluccare per dei mesi sul
match, ma saremmo dei sonnambuli se dimenticassimo, alla fine
di tutto, che in faccia alla Juve stava l’Ajax. Una squadra che
surclassa in Olanda da otto anni, alla media di 100 gol a
campionato. Una squadra unanimemente omaggiata da tecnici e

invece

addetti ai lavori. Sintomatica la conversione di Helenio Herrera.
Prima di Real-Ajax, il mago aveva visto in Tv gli olandesi e
dichiarò: “Andrà in finale il Real.” Quando poi volò a Madrid e vide
con i propri occhi l’Ajax vincere con sorniona maestosità, Helenio
passò rapidamente il Rubicone: “Non esiste al mondo una squadra
più forte.”
Non dimentichiamo insomma che, tecnica alla mano, la Juve era
già battuta prima. E che l’Ajax aveva l’anno scorso quasi fatto la
merendina a Rotterdam, masticando come un sandwich l’Interuzza
di Invernizzi. La fastidiosa sensazione che abbiamo avvertito ieri
sera nasce più che altro nell’impressione di un Ajax un po’ al di
sotto del suo potenziale.
Impressione del resto non condivisa da tutti, nemmeno dai
giocatori, Marchetti e Bettega, tanto per non fare nomi, osservano
infatti: “Noi abbiamo avuto in mano l’1-1 più di una volta, ma forse
l’Ajax non ha mai messo sul serio la quarta. Avessimo pareggiato,
forse il loro acceleratore non ci avrebbe più risparmiati. Loro, in
fondo, erano in vantaggio e sono stati un po’ a vedere che cosa
succedeva. Hanno rischiato, ma sono rischi che le grandi squadre
si possono permettere”.
A proposito di squadroni e di tre punte, ricordo en passant che la
“grande Inter” quella di Moratti-Allodi-HH, giocava con Jair ala
vera, Mazzola interno di punta e un centravanti-ariete: cioè con tre
goleador veri in zona offensiva. Tre goleador per un contropiede
catapultato da 40 metri attraverso Suarez-Corso, ma sempre
aspettato in tre. Voglio dire che è troppo banale ridurre un finale di
coppa al dilemma Cuccureddu-Bettega.
Piuttosto, è da osservare che “questo” Bettega non valeva forse
una scelta tatticamente innovatrice. Questo sì. Una obiezione
insomma legata al rendimento di un giocatore, non tanto al
modulo. In questa Coppacampioni, Zoff ha fatto i miracoli ovunque,
da Budapest a Derby: e
la sua partita
discretamente pacifica è stata proprio questa. Annotazione
significativa, no?
Dopo Milan-Leeds (“La mia coppetta è stata rivalutata!” ha
giustamente esclamato ieri sera Buticchi), il calcio italiano si
vergognò come un ladro: 90 minuti in area a buttar via palloni
come nei campetti di periferia; Chiarugi nel deserto offensivo e
persino
in anonime pedate
difensive. Nereo Rocco, che non porta la sveglia al collo, disse
quella sera: “Migliore in campo? L’arbitro”.

il genio di Rivera

tutto sommato,

imbastardito

Dopo quel precedente, la Juve ha tradotto in un certo tipo di
formazione lo scetticismo per quel calcio prono, atteso a frustare
masochiste, capace di proporre un Lorimer come una specie di
Gerson. Ora che è andata male, l’1-0 e per la gnagnera del
secondo tempo, si urla allo scandalo, anche se l’Ajax vale almeno
tre Leeds.
E’ tutto da ridere: il catenaccio è un fossile: le tre punte sono follia.
Ma si può sapere quale sarebbe il nostro paradiso tattico?
L’interrogativo resta sospeso nell’aria come il lenzuolo di un
fantasma. L’unica cosa sicura è questa: il giocatore tenuto in
panchina ha sempre ragione. Amen.