1973 dicembre 8 E adesso povero Milan?

1973 dicembre 8 – E adesso, povero Milan?

Helenio Herrera solleva i pugni verso la tribuna: i suoi denti sono
una tastiera di pianoforte. Ha vinto il derby. Ha cancellato i “mille
giorni” senza vittoria contro il Milan. Decine di flash gli scattano
sugli occhietti, di una mobilità anfetaminica. Rispetto al mago degli
anni ’60 ha qualche capello grigio in più e un cappottino in vigogna
beige al posto di un proletario giaccone anti-gelo. Ma ora,
soprattutto ora, quest’uomo dall’incerta anagrafe e dai plurimi
passaporti, ritorna più che mai HH, una sigla per dire tutto, un
personaggio rientrato come certe pelli trapiantate in clinica.
Il rito del derby, il rito di San Siro, non esige che Herrera si giri
verso la panchina più distante, quella di Rocco, lo sconfitto,
patetico come tutti gli sconfitti. Nereo segue trenta metri più
indietro. Non ha molti flash addosso, ma una telecamera gli
indugia sulle guance da bulldog. Dondola il testone come se il 2-1
gli stesse sull’esofago.
Non so che cosa gli stia passando per il cervello in quel momento:
ma credo avverta disillusione del futuro. Rocco avrebbe voluto
dare al Milan la stella, cioè il decimo scudetto, prima di andare in
pensione. Uscendo dal campo, penso che Nereo senta di aver
perso il derby e qualcosa di più: forse lo scudetto, questo
maledetto scudetto vietato al Milan dal ’68. La classifica è ancora
in gestazione ma la lettura si fa aspra per il Buticchi club: Napoli a
quattro punti, Juve e Inter a tre! Non sono in troppi ventre a terra
per programmare primaverili sorpassi? La malinconia di Rocco sta
tutta in questo realistico interrogativo.
Non è stato facile per nessuno giocare questo derby. Il termometro
era cinque sotto zero, il vento trafelato, pelle d’oca e muscoli
d’ottone. L’Inter ha battuto il primo calcio in favore di vento e ha
segnato, stando al mio cronometro, in 12 secondi! Boninsegna ha
ripetuto il Mazzola del derby 1963 quando andò in gol in 11
secondi. Davo ieri favorita l’Inter per Boninsegna, per il gusto
d’avventarsi e la voglia di mordere l’avversario: ma nessuno
avrebbe potuto immaginare l’1-0 così in fretta, il tempo di uno
sternuto, la prima azione, il primo tiro, Mazzola-Bedin-Massa che
lavorano il triangolo per Boninsegna e l’unico panzer del derby
che, da 13 metri, stantuffa un destro da accecare il portiere.
Il derby è cominciato così, nemmeno il tempo di prendere le
marcature, delle quali interessanti soprattutto due: Giubertoni, uno
stopper, per Rivera; e Sogliano per Mazzola. Quando contra,

Giubertoni sembra un millepiedi: infila tacchi e punte su ogni
mossa del raffinato Rivera, prima del previsto costretto a cercare
la zona-gol visto che l’Inter gol ci sta già.
Il Milan non fa materasso, né sta a meditare su quella prematura
coltellata. Benetti va a calciare una punizione con violenza di
bulldozer: il suo destro batte Vieri ma non la traversa. Rocco piega
lo sguardo: comincia a pensare che ‘sto matto del mago sia
ritornato a Milano più fattucchiera che mister.
L’Inter ha Boninsegna; il Milan non ha Chiarugi. Solo contro lo
stopper di ghisa, Bigon scantona al largo: in 180 minuti contro
Morini (Juve) e Bellugi (Inter), Bigon vede la porta quasi sempre di
lontano, troppo di lontano per ferire.
HH ha avuto subito
la botta di Boninsegna (l’avrà vista
Valcareggi?), ma Boninsegna gli restituisce anche l’altra faccia del
proprio mestiere di goleador: l’egocentrismo. Dopo dieci minuti,
nega infatti a Mazzola il matematico 2-0. Mazzola gli darebbe
un’unghiata in fronte, tanto ne è irritato anche perché era quella la
prima volta che Sandrino si smarcava da “testa bassa” Sogliano.
Secondo opinione-Rocco, Sogliano doveva masticare Mazzola
come chewing-gum e sganciarsi da lui in appoggio a Rivera.
Macché! Il muscolaccio di Sogliano si stira. Rocco ha in panchina
uno stopper, Lenzi, e un’ala, Turini. Giorni di ipotesi e di marcature
saltano per aria: Facchetti va su Turini e Sabadini si presenta a
Mazzola, privatamente molto amici.
Per un po’ il derby si stabilizza. Rivera provoca punizioni e batte
corner. Burgnich annulla tutto. L’Inter spende molto per cercare di
chiudere il risultato. Il suo schema d’attacco ha però il difetto di
uscire troppo scarno verso la porta del Milan. Non è tutta la
squadra che accompagna, alla sudamericana,
la manovra:
eseguito il disimpegno, la difesa interista rimane freddamente in
zona, evitando di appoggiare. Basta un dribbling non perfetto, un
rimpallo sporco, un passaggio sotto misura per ridare subito la
mano al Milan. Un Milan che sembra quasi “assistere”, nel bene e
nel male, alla partita dell’Inter.
Chi non ci sta proprio ad… assister è Benetti: non ci sta per
temperamento, per potenza e per simpatia al freddo. E’ lui che
macina le briciole del gioco. E’ lui che, sensatamente, pareggia.
L’1-1 di Benetti precede di cinque minuti l’intervallo; anche
psicologicamente, vale molto. Benetti scenda da ala sinistra, a
passo rullato. Benetti avrà un sacco di qualità fuorché quella di
improvvisare i tiri: calcia sempre che te lo aspetti da mesi: oltre

che “telefonare”, prenota la telefonata. Così, nel derby, da una
ventina di metri, un po’ diagonale, sulla destra di Vieri. Vieri è un
bruno con gli occhi chiari. In più è toscano. Avverte ispirazioni
mattocchie; si muove da supersensitivo tra i pali. Nemmeno con
l’agopuntura e due anni di filosofia zen gli daresti la pace dei sensi
in un derby. Figuriamoci con le mani fredde, il sole negli occhi e un
paio di metri di fuori-pali: dei novantamila di San Siro è
sicuramente l’ultimo a capire che Benetti tira la botta. Dunque,
sensatamente, 1-1: perché quello di Benetti è un gran destro e il
mezzo errore di Vieri fa parte del gioco. A Cudicini, per esempio,
sarebbe bastato l’indice a mettere in corner.
Lo scontro è leale ma ci scappa qualche tackle incarognito, di
Zignoli a Massa e, soprattutto di Giubertoni a Benetti: mollato
Rivera, lo stopper allunga in spaccata da torcere quasi il ginocchio
sinistro di Benetti. Posso sbagliare eppure ho l’impressione che
Benetti ne abbia sofferto per tutta la partita.
Dopo il pareggio, l’Inter ha rischiato di perdere. Turini è un nano,
Facchetti un gigante: i giganti non amano battersi con i nani, li
“perdono di vista” tra i piedi. Turini svincola una volta da Facchetti
e va solo verso Vieri: tocca anche bene e mezza San Siro urla gol.
Solo che Vieri cerca penitenza e, da campione, sventa di spalla in
uscita. Molto bravo.
Rocco e HH vanno in spogliatoio né beati né scontenti. HH dice a
Giubertoni di anticipare Rivera invece di aspettarlo con il pallone
tra i piedi. Poi HH fa autocritica: toglie infatti l’inutile Scala dall’ala
sinistra e sceglie Moro, un po’ frillino ma pur sempre un attaccante
vero.
Rocco non poteva usare Chiarugi ed è stato costretto a sostituire
un mediano (Sogliano) con un attaccante (Turini). Helenio
corregge la sua incredibile avarizia tattica dando finalmente una
spalla a Boninsegna dopo essersi preso persino il lusso di lasciare
Mariani ad Appiano gentile. In un certo senso, si è trattato di un
derby “involontario”, imposto dai fatti alle panchine, non viceversa.
Nel secondo tempo, Fedele quasi butta la spugna con Benetti
contro il quale non riesce proprio a reggere. L’arbitro commette il
suo unico errore: per una spinta di Bellugi su Bigon in area, sposta
la punizione fuori area. Fedele si aggrappa alla maglia di Rivera
che sta scappando verso la zona-gol. Ma, nonostante tutto ciò, la
spinta del Milan non trova mai traguardo: nessuna conclusione in
venti minuti.

La partita soffre per i troppi errori, banalità coltivate nel gelo. Resta
d’altra parte match tirato, nervoso, sveglio, a tratti più lineare di
Milan-Juve. Questo Milan si muove più agile; l’Inter è soltanto
imprecisa: un attimo che esegue senza sbavature, l’Inter vince il
derby.
Facchetti si distende alla vecchia maniera, sul corridoio sinistro, lo
stesso da dove era uscito nel primo tempo il pareggio di Benetti.
Allora, Mazzola se l’era presa con Fedele, colpevole di non aver
disturbato il tiro di Benetti. Ora Mazzola ha lanciato Facchetti che
scatta verso Schnellinger: il biondo tenta il tackle teutonico, ma
Facchetti lo finta, sedendolo. Facchetti entra in area e, da un 12
metri, picchia un sinistro di quelli che schioccano nell’aria: Vecchi
pensa che gli arriverà verso la mano sinistra: sbaglia e, in
contropiede, no può che guardare il 2-1, tra la sua mano destra e il
palo, il più imparabile dei tre ottimi gol di un derby normale.
Da quel momento (il 71′) l’Inter ha sbavato almeno quattro volte il
3-1; il Milan ha sognato il pareggio una volta soltanto, con Bianchi.
Non c’è stato più mistero né grande stress. L’arbitro non l’ha odiato
nessuno. E Rivera è uscito dal prato sotto l’affettuosa manata di
Bellugi.
L’Inter del risorgimento herreriano esiste in zona-scudetto come
s’era capito fin dalla partita di Verona: non ha ancora tutto il gioco
ma possiede già molta personalità. Il Milan vive di reazioni, di
nerbo, di tradizione: ma conferma tutto ciò che mi era sembrato di
capire da cinque precedenti partite di campionato e coppa. Non ha
varianti per ovviare all’assenza di un Chiarugi per esempio; deve
aspettare un Rivera eccezionale per nascondere il logorio della
difesa. Non sarebbe cambiato granché nemmeno con un altro 2-2;
e questo è il vero dramma di Rocco.
Quanto a Herrera, non c’è austerity che tenga. Riempirà da solo le
domeniche senza auto del calcio italiano. A Milano, HH prese
questa estate casa a Montenapoleone: il nome giusto per uno che,
sia pure a pedate e sia pure con un derby, si sente costantemente
a braccetto con la “storia”.