1969 novembre 22 Formazione obbligatoria contro i tedeschi dell’est

1969 novembre 22 (Il Gazzettino)

Formazione obbligatoria contro i tedeschi della Germania est

Indispettiti i nostri avversari per il ritardo con cui le autorità italiane hanno concesso il visto
d’ingresso – Valcareggi: niente colpi di scena – Processo impossibile allo schieramento –
Stavolta nessun dissenso nel clan italiano

(DAL NOSTRO INVIATO)
Napoli, 21 novembre
Erwin Vetter ha 49 anni, la riga ben segnata sui capelli biondicci, un sorriso da viennese con
mascella prussiana. Fino a tre ani fa era arbitro. L’anno scorso fu segnalinee in Napoli-Leeds. Ora è
vice-presidente della « Deutschen Fussball Verbande ». Arriva alle quindici circa all’Hotel
Mediterraneo. Intervistato, risponde: « I nostri giocatori stanno sulle valige da una giornata e
mezza! ».

Di chi la colpa?
« Delle autorità italiane: hanno impedito a trecento nostri turisti, compresi quattro giornalisti, di

venire a Napoli ».

Ma si è trattato di complicazioni « interalleate » a Berlino…
« Nein! Sono state le autorità italiane a negare l’ingresso ».
Eppure proprio il ministero degli Esteri italiano autorizzò per la partita inno e bandiera della
Repubblica Democratica Tedesca, nonostante il non-riconoscimento internazionale tre le due parti.

« Fu un episodio piacevole che ora si è guastato ».
— Tutto ciò che conseguenza ha avuto per voi?
« La stampa e il pubblico hanno criticato aspramente gli italiani e i nostri giocatori hanno fatto
molta fatica in più. Senza contare che, con il grande salto di temperatura, ventiquattro ore esatte di
tempo… sono troppe poche per acclimatarci ».

— Lei fu segnalinee a Napoli, che ne pensa di questo pubblico?
« Entusiasta, ma indisciplinato. Butta un sacco di roba in campo ». Nel 1962 a Santiago del Cile
la nazionale italiana trovò un ambiente surriscaldato reso ostile da una campagna radiotelevisiva
(manovrata da tedeschi) come ritorsione al poco diplomatico reportage di un giornalista italiano.
Non è proprio il caso di far paralleli: qui siamo a Napoli, non a Santiago. Ma c’è da supporre che,
stando così le condizioni del clan tedesco orientale, sarà un match duro, venato di vittimismo, dove
l’ombra del presunto sabotaggio politico funzionerà, da spinta astiosa. Già si tratta di un match
determinante per Mexico ’70: di « carica » in più nessuno avvertiva la necessità. Tanto meno
l’arbitro Schiller, chiamato a una performance che per essere perfetta avrebbe bisogno del tatto di
uno Sbardella e della autorità di un Lo Bello. Riferisco, con beneficio di inventario, un paio di voci
raccolte a Fuorigrotta: fino a stasera non sarebbe ancora stata trovata una bandiera della Germania
Est da esporre allo stadio; inoltre, risultato sconosciuto alla banda militare l’inno tedesco-orientale,
si ovvierebbe al « buco » con disco e altoparlante! Speriamo si tratti di sensazionalismo dell’ultima
ora, sennò ve lo immaginate l’umore dei giocatori tedeschi (in tackle)?

Mandelli e Valcareggi non sembrano molto interessati alla formazione degli avversari. Sanno
alcune cose e le ritengono sufficienti per vivere in pace. Quali? Che le due ali saranno Vogel e
Lowe (« Uccello » e « Leone », il primo del Karl Marx Stadt, il secondo del Lok Liepzig); che il
mediano Koerner ha tiro brutto per noi, s’intende; che le scelte tattiche del trainer tedesco Harald

Seeger potrebbero essere le stesse della schiacciante vittoria anti-Galles a Cardiff: cioè Frassdorf
più mediano che terzino, e quindi su Domenghini.

Sanno anche che i tedeschi possiedono fondo atletico tale da consentire di attaccare in massa e
difendersi in massa: sarebbe perciò estremamente pericoloso, e lo fu infatti a Berlino Est (2-2),
applicare il concetto della marcatura ad uomo sempre e comunque, a tutto campo, con il rischio
d’incriminare il bunkerino di Salvadore.

Nessun colpo di scena nemmeno a proposito della formazione italiana. Mentre il ct Valcareggi la
dettava in tosco-triestino, fuori dello stadio un centinaio di studenti scandiva il nome di Juliano.
Questa volta però la geopolitica ha funzionato soltanto con Zoff, preferito ad Albertosi (anche) per
meriti partenopei. E’ una formazione quasi obbligata, imposta dal campionato: lo strappo di
Anastasi, la tendinite di Rivera, la scarsa condizione di Prati, il sonnambulismo tattico di Bertini,
hanno infatti tolto un sacco di dubbi e di problemi alla squadra. Una squadra logica, con scarse
alternative reali: perchè non si possono definire alternative giocatori che il conservatorismo del
tecnici azzurri ha tenuto ai margini del « giro ».

Si era parlato della possibilità di dare la maglia di mediano a Juliano, napoletano verace del
borgo popolare di San Giovanni. Ma Juliano stesso mi ha fatto capire di aver spiegato al ct che lui,
al ruolo di mediano, non ci tiene per niente: « Io sono mezz’ala, in vita mia avrò fatto il mediano tre
o quattro volte in circostanze straordinarie, in Coppa. Perciò, se servo per il ruolo nel quale rendo,
bene, sennò mettete uno specialista » La chiara e onesta presa di posizione di Juliano ha tolto ogni
concorrenza a Cera, un veronese dal passo lucido, l’antitesi di Bertini, la posizione contro la
potenza, il gusto del triangolo dettato agli altri più che richiesto per se stesso. Non s’è visto invece
Poletti, selezionato come terzino di scorta al posto di Anquilletti: perché il secondo garantisce in
tutti i sensi, rendimento e disciplina, più del primo. Sembrano sfumature; alla resa dei conti
potrebbero diventare dettagli importanti.

Chiaro comunque che processi alla formazione non possono essere imbastiti. Lo testimonia
l’attacco. Riva e De Sisti sono da sempre « fuori budget ». Chiarugi sta in splendida forma-gol e
senza l’antitesi di Prati. Mazzola sarà cervello e mezzopunto nel « vuoto storico » di Rivera.
Mazzola è il teorico dell’équipe, sia all’Inter che in nazionale: parla, spiega, distingue, sottilizza,
decine di interviste. L’unico pericolo è che si scarichi dialogando, perchè Mazzola vive di carica
nervosa, non di forza, di umori più che di muscoli, esili, appena disegnati.

L’ultimo è Domenghini, che ho incontrato buio come sempre « il giorno prima », introverso, di
una tensione che lo ingobbisce: uno straccio se non sta in campo, contachilometri alla caviglia e
bulloni ben piantati.

Strano, ma vero. Questa volta, per novanta minuti che valgono il passaporto per i mondiali, per
una partita che condensa quattro anni di calcio nazionale, non c’è dissenso. Le diagnosi dei medici
federali hanno anestetizzato le coscienze. Si respira il clima dei momenti gravi, della « solidarietà ».
Perfino Rivera, lasciato in archivio, non ha fatto discutere. « Questo silenzio non mi piace »,
avrebbe detto Randolph Scott nei western degli anni Cinquanta. Ma nella nazionale italiana la paura
è invisibile, senza peso, la ritrovi sempre, magari camuffata.

Ho chiesto stamattina a Mandelli: « L’Italia è più forte, c’è una differenza di almeno due gol. Si
gioca a Napoli, pubblico, clima, arbitro eccetera. Lo dicono tutti, eppure perchè scatti la paura,
ricordate il Galles a Roma?, basta che qualcosa non funzioni subito e bene. Perchè? ».

« Sì è vero, c’è ancora, qualche giocatore lo confessa pure: l’alambicco non l’ha ancora distillata
tutta. — risponde Mandelli — Siamo un paese latino, passionale: tutto l’ambiente traumatizza una

partita. Per un giocatore che non ha marcato giusto c’è il pubblico ludibrio: chiaro che qualcuno
pensi magari a salvare solo la propria reputazione, il particolare, trascurando la squadra ».

Ma domani, contro la Germania Est, non ci saranno fortunatamente reputazioni particolari da
difendere. O si va in Messico oppure, per i campioni d’Europa 1968, tornerà il tempo delle
barzellette. E sarà, la punizione giusta, con tutto il rispetto per gli atleti gallesi e tedesco-orientali.
Potrebbe però non finire domani. Il pareggio riaprirebbe il dossier, con la « bella ». Probabilmente
in Svizzera, a Losanna o Ginevra, cioè nella Svizzera francese dal momento che la Germania Est
aveva chiesto come sede neutrale proprio la Francia. Ma sarebbe meglio non arrivarci alla « bella »,
anche perchè la Svizzera conserva per noi neri ricordi mondiali: a Losanna e Basilea nel 1954.
Meglio a Fuorigrotta, subito. L’assuefazione ai 2100 metri di Città, del Messico è meglio che
cominci presto. prestissimo.

L’arbitro: « non tollererò il gioco duro »

Napoli, 21 novembre
(Ansa) L’arbitro austriaco Schiller, il quale domani dirigerà allo stadio San Paolo lo incontro di
calcio tra l’Italia e la Germania Orientale, è giunto a Napoli con un aereo proveniente da Monaco.
Insieme con il direttore di gara hanno viaggiato i due segnalinee Fercher e Spiegl, anche essi
austriaci.

Avvicinato dai giornalisti lo arbitro ha detto: « Non ho mai arbitrato un incontro della nazionale
azzurra; ho diretto però alcune partite nelle quali erano impegnate squadre italiane. Spero che la
gara sia interessante e soprattutto corretta, non tollererò il gioco duro ».