1969 aprile 30 Stranieri o bancarotta

1969 aprile 30 (Il Gazzettino)

Calcio e politica

Stranieri o bancarotta

Giorni fa a Milano, chiedemmo a Samaritani vicepresidente dell’Inter: «E’ vero che lo stopper del
prossimo anno sarà Morini della Sampdoria? ». Risposta: « Lo abbiamo chiesto ma volevano 400
milioni e la comproprietà di Vanello! Dico: si può andare avanti cosi? Quasi mezzo miliardo per un
difensore di 25 anni? ». Tutti i dirigenti del calcio italiano, mano a mano che si avvicina il
« mercato », pongono una stessa sbigottita domanda: si può andare avanti così? Dove andremo a
finire? Lasciamo perdere Riva, De Sisti, Rivera & company, giocatori che costano oramai quanto
un jet. E’ tutto il mercato che ha raggiunto un andamento forzoso, irreale. Cresci, stopper, pagato
l’anno scorso dal Milan 350 milioni in contanti. Bui, centravanti quasi trentenne, è quotato minimo
minimo 300 milioni. E, tra i 250-300, è piazzato anche Reif (oggi vedette e soltanto due anni fa
« De Martino » del Napoli), punta alla quale sono interessati soprattutto Inter e Milan.

La spinta all’inflazione viene dall’autarchia, cioè dalla chiusura delle frontiere alla importazione
di calciatori stranieri. Non c’è concorrenza, né libera circolazione: perciò, mentre si sta esaurendo la
scorta degli assi già in Italia (Suarez, Cinesinho, Hamrin eccetera), le quotazioni dei giocatori che il
convento autarchico passa assumono un giorno dietro l’altro valori tecnicamente e finanziariamente
assurdi. Le Società si trovano ad un bivio: 1) o rifiutano gli scambi, ma allora si avrà un campionato
stagnante senza le variazioni che spingono il pubblico allo stadio; 2) oppure accettano il
« carnevale » e allora alcune Società incastrate da operazioni-no andranno incontro alla bancarotta.
Un mercato come il giochetto del cerino acceso, da passare di mano: l’ultimo al quale resterà tra le
dita, si scotterà di brutto.

Esiste il calmiere: l’apertura delle frontiere. Non diciamo indiscriminata. Facciamo pure un
giocatore straniero per squadra: basterebbe a riequilibrare su basi più tollerabili il mercato interno.
E’ stata sufficiente la raccomandazione della Lega al Consiglio federale, di consentire la assunzione
di Direttori tecnici stranieri, per smorzare sensibilmente le sparate contrattuali dei nostri tecnici.
Esempio il « pendolare » Pesaola. Che cosa impedisce allora la abrogazione del veto-Pasquale per i
giocatori?

Ci confessava pochi giorni fa Luigi Lari (presidente della Reggiana e membro del Consiglio
direttivo della Lega): « Il veto resta soltanto per ragioni politiche ». Per il ministro del Bilancio e
della Programmazione Preti, amico di Pasquale e come lui ferrarese, l’importazione di calciatori
sarebbe arti-economica. Questa la motivazione: è vero che si potrebbero portare in Italia grossi
giocatori a prezzi enormemente più convenienti e che tutto ciò funzionerebbe da calmiere interno,
ma bisogna pur sempre « esportare » valuta pregiata come contropartita. Il Cagliari chiede invece
un miliardo per Riva e la Juve paga un miliardo? Sarà una follia — è la risposta — ma è pur sempre
denaro che rimane « nel giro », da Società italiana a Società italiana. Vogliamo importare Amando
o Dzjalc? Spenderemo anche poco — è la seconda risposta — ma il denaro esce dal giro, va
all’estero.

Che il ministro del Bilancio abbia fiducia piena nella tesi-Pasquale (anche dopo le dimissioni da
Grande Capo del calcio nazionale) lo si desume dalla nomina di Pasquale, avvenuta il 4 aprile
scorso, a Presidente di una speciale commissione costituita proprio dall’on. Preti « per esaminare —

come diceva il comunicato ministeriale — i problemi inerenti il settore dello sport allo scopo di
formulare utili indicazioni per il programma economico nazionale 1971-1975 ».

Nessuno ha più esperienza e personalità di Pasquale, ma ci sono molti interrogativi che tale
impostazione non risolve: la « congiuntura » è finita per tutti i settori, deve continuare solo per il
calcio? Il veto non riguarda il basket, tanto per fare un esempio, nel quale sono consentiti addirittura
due stranieri, uno in campionato e due in Coppa: perchè discriminare il calcio? E’ vero che il
denaro, con il veto, rimane nel giro italiano, ma andando avanti di questo passo non arriveremo a
quote immorali e fallimentari? Soprattutto nella serie A, si possono trascurare le esigenze
spettacolari? Infine, facciamo l’Europa unita… fuorché per il calcio?

Scriveva il poeta Paul Eluard: « Abbiamo bisogno di poche parole per esprimere l’essenziale,
abbiamo bisogno di tutte le parole per renderlo reale ». Anche il football ha l’obbligo di « realizzare
l’essenziale ». Scelgano i dirigenti il numero delle parole…