1967 giugno 2 “Inter zero!”

1967 giugno 2

“Inter zero!”

MANTOVA – E’ stato Beniamino di Giacomo, ex centravanti di Helenio Herrera, l’uomo del
destino bianconero. E’ stato Di Giacomo, cinque minuti dopo l’inizio del secondo tempo, ad
impaurire Sarti con un tiro-cross da sinistra che il portiere dell’Inter, piazzatissimo, non
« poteva » assolutamente lasciarsi sfuggire. E infatti non gli… sfuggiva: alzava leggermente le
braccia sopra la testa, compostissimo e disinvolto. Palleggiava la palla dal palmo della mano
sinistra al palmo della mano destra in gol! L’Inter perdeva. Il dramma di Sarti era totale. Il
portiere si girava su se stesso. Abbassava la testa aggrappandosi al palo destro della porta con
la faccia tra le mani. Il primo ad andargli vicino fu Facchetti, sbigottito. Il secondo Picchi,
attonito. Picchi gli battè una mano sulla spalla senza acredine e senza simpatia. Il gesto di
Picchi era un gesto rassegnato, fatalistico.

Era una specie di ribellione muta, confessione di incapacità, di impotenza, di vuoto reattivo ad una
parabola discendente inarrestabile. Sarti era stato l’eroe « inutile » di Lisbona. Jock Stein aveva
dichiarato al termine della finalissima di Coppa: « Senza Sarti l’Inter avrebbe incassato sei gol! ».
Proprio nel periodo in cui si erano sparse ripetutamente le voci del passaggio di Albertosi all’Inter,
sembrava che la grande giornata personale di Sarti a Lisbona fosse venuta apposta per confondere le
idee a Herrera e a Italo Allodi. Tanto, inutile era stata ai fini del risultato. A Mantova, dopo una
settimana, Sarti, nell’unica parata impegnativa della partita, ha cancellato l’unica speranza rimasta
all’Inter: lo spareggio. L’errore grave di Sarti è un segno quasi incomprensibile. Come la traversa di
Mazzola. Come le palle-gol buttate da Bedin. Come il comportamento di Corso, letteralmente
trasformato rispetto a Lisbona ma completamente abbandonato a se stesso da un Suarez
irriconoscibile. Tutti gli elementi della sconfitta di Mantova trovano l’espressione figurativa in quel
gesto sconfortato e fatalistico di Picchi.

— Ottavo minuto: azione stupenda di Corso sulla trequarti. Finta che allarga la difesa del
Mantova, lancio a destra per Bedin che arriva da lontano ed ha seguito con tempismo l’azione. E’
una palla-gol lineare. Bedin calcia male la palla, con fretta ingiustificata: non è nè tiro nè cross.

— Undicesimo: da Corso a Domenghini, a Suarez sulla sinistra. Cross perfetto (l’unico!) sulla

testa di Bedin, solo. Colpisce in modo innocuo. Era un’altra palla-gol lineare.

— Dodicesimo: dribbling stretto di Corso. Tiro tagliato, basso. Zoff blocca con difficoltà, da

campione.

— Venticinquesimo: Corso a Cappellini, che restituisce al mancino veronese. Secondo tiro, più

difficile del primo. Zoff, da campione, trattiene la palla per il cuoio sotto la schiena.

— Ventisettesimo: Mazzola, dal limite, vede Zoff in uscita. Con riflesso e calma perfetti, tira di

interno destro tagliato. La palla supera Zoff, sembra gol, colpisce la traversa e ritorna in campo.

— Quarantasettesimo: dopo l’intervallo, Mazzola da destra, quasi sul fondo, mira all’angolo

opposto. Tiro-gol che sfiora l’incrocio interno di un millimetro.

Tre minuti dopo è il gol di Di Giacomo. L’Inter perde. Si butta in forcing scomposto,
anacronistico. Ne esce nulla di veramente incisivo come lo era stato prima, nel primo tempo. Dirà
Cadè nello spogliatoio: « L’Inter del primo tempo ricordava la grande Inter, quella delle grandi
giornate ». Cadè non mentiva. L’Inter aveva avuto venti minuti di gioco vero: i venti minuti di
Mario Corso. Incassato il gol di Di Giacomo l’Inter praticamente spariva. Il forcing è come cenere

sparsa al vento. Il dramma dì Herrera, di Quarenghi, di Della Casa in panchina, raccapricciante.
Disperato e incredulo come il dramma della famiglia Moratti in tribuna. L’avvocato Prisco,
vicepresidente dell’Internazionale, colava sudore, tormentandosi le mani. La figlia minore di
Moratti, Gioia, continuava a chiedere il risultato della… Juve. L’Inter, dopo il gol del Mantova, non
è più vissuta in maniera lucida, autonoma. E’ stata più che altro abbarbicata alla speranza-Lazio.
Sfumata quella, non ha più avuto nulla da dire e da sperare. L’espulsione di Corso ad un minuto
dalla fine è anch’essa il simbolo di un « rifiuto » alla sconfitta più incredibile degli ultimi anni.
Dopo il gol, il Mantova avrebbe potuto segnare ancora. E, al 68′, Francescon avrebbe potuto
concedere un rigore contro l’Inter. In piena area Tomeazzi scattava verso il fondo. Allungava la
palla: quasi sicuramente sarebbe andata perduta per lui, ma Picchi interveniva su Tomeazzi (non
sulla palla) fallosamente. Francescon, preciso durante tutta la partita, non concedeva il rigore,
pareggiando forse un intervento ai limiti del lecito di Scesa su Mazzola in area. Il discorso
comunque è sempre identico: dopo il gol l’Inter chiudeva. Finito. Di questa ultima tremenda partita,
rimangono soltanto poche note.

1) Corso ha giocato da mezza punta, a volte da tutta punta, tanto che il Volpi (suo marcatore)
spesso andava su Domenghini mentre Corsini (marcatore di Domenghini) aspettava Corso. Herrera
deve aver scelto questa soluzione per due motivi. Primo: l’Inter doveva vincere. Secondo: proprio a
Lisbona la difesa dell’Inter aveva giocato su un buon standard. Era crollato invece il centrocampo e
con esso le punte. Era presumibile dunque che, rientrando Suarez, il centrocampo ritrovasse ordine
e la difesa ce la facesse in maniera autonoma a non incassare il gol. Quindi Corso all’attacco. E
Corso nel primo tempo era la punta più pericolosa dell’Inter, senza dubbio il migliore in campo.

2) Domenghini è un disadattato. Un beat incongruente, sfigurato tatticamente. Come attaccante
ha una sola grossa qualità: il tiro. Ma non può più tirare perchè si trova costantemente ad al meno
quaranta metri dall’area di rigore avversaria. E’ oramai più vicino alla figura del terzino che a quella
dell’attaccante. Ma come terzino vale poco tanto che, a Lisbona, Gemmel fu un’ira d’iddio. Herrera,
a Mantova, lo chiamava urlando con la bava alla bocca. Gli urlava di stare avanti, all’ala, di
attaccare e basta. Domenghini ebbe anche un gesto di ribellione nei confronti di Herrera. Ma non
successe nulla. Come può pretendere Herrera che improvvisamente ridiventi attaccante quando, di
domenica in domenica, ha imparato soltanto ad arretrare? A questo proposito va detto che Jair, dopo
la catastrofica sconfitta ha dichiarato: « Stavo benissimo e potevo giocare! ». Andiamo bene!

3) Cappellini, sparita la condizione fisica, è sparito anche come, spalla di Mazzola.
4) Suarez è mancato all’appuntamento. Con il pianto nel cuore a quello di Lisbona. Con la
coscienza di aver giocato male all’appuntamento con lo scudetto. Suarez ha chiuso la sua annata
controluce gettando un’ombra di grave preoccupazione nello staff dell’Inter. Non dimentichiamo che
se un « ciclo » dell’Inter si chiude, questo era stato soprattutto il ciclo di Luis Suarez. Nonostante
Domenghini, Cappellini e Suarez, nonostante alcune incertezze di Guarneri, l’Inter di Mantova era
riuscita a toccare trenta minuti di gioco autentico. Era riuscita ad andare molto vicina alla vittoria.
Ha perso. Ha perso nonostante un Corso nettamente d superiore alle recenti esibizioni. Un
consigliere del Mantova, Camurri, mi diceva nell’intervallo: « Corso cammina: è un giocatore da
Gorgonzola! ». Il giudizio è inesatto: con un Suarez decente, il Corso di Mantova avrebbe vinto da
solo la partita. L’Inter comunque ha perso, nonostante il riscatto, l’impegno e il rendimento del
criticatissimo mancino.

L’Inter ha perso. Ha accusato una netta débâcle. La più grave e dura a digerire. L’Inter, non
dimentichiamolo, ha perso lo scudetto e la… Coppa dei Campioni. Quella di Lisbona, ma soprattutto
quella del… prossimo anno! La delusione dei tifosi interisti è atroce. Ma l’Inter non ha perso lo

scudetto a Mantova. Lo ha perso prima. Lo ha perso, occasionalmente, a San Siro, lasciando due
punti a Nereo Rocco e rimettendo immediatamente in corsa la Juve. Ricordo che qualche giorno
dopo, all’Hotel Quirinale di Roma, Angelo Moratti ebbe a confessarmi: « Se perdiamo questo
campionato, la colpa è tutta sua, di Herrera! Non ha ancora capito come si deve giocare con il
Torino! ». Lo ha riperso contro la Juve a Torino, dove un pareggio dell’Inter avrebbe chiuso
veramente il campionato. Ma lo ha perso, meno occasionalmente, Helenio Herrera durante la
stagione quando ha prima ignorato Vinicio, poi ignorato (!) Jair De Costa. Lo ha perso quando ha
lasciato mollare alcuni freni disciplinari che ne facevano prima un modello da imitare. Non a caso,
la splendida vittoria personale di Heriberto Herrera si rifà ad un sottofondo disciplinare a tratti
addirittura spietato.

L’Inter ha perso il campionato quando Helenio Herrera ha voluto sacrificare l’Inter sull’altare
della Nazionale. Quando, incantato letteralmente, dal distintivo « Italia » sulla giacca blu, ha
schiacciato completamente gli interessi del club che lo paga. Cioè l’Inter. Caso tipico e non
smentibile lo sfruttamento inopportuno, sforzato, suicida di Sandro Mazzola (contro il Portogallo).
Herrera ha avuto nel passato e durante questo stesso campionato meriti innegabili e immensi: la
« melina » di venti minuti sul campo del Real Madrid non era riuscita a nessun’altra squadra al
mondo. Ma Herrera, in qualche occasione, ha voluto strafare (Nazionale); in altre ha preso decisioni
inopportune e autolesioniste (Vinicio-Jair); in altre ancora ha preso alcuni impegni con sufficienza
« azzurra » (partita con il Torino ecc.). L’Inter, alla fine, è stata travolta da una sorta di fatalità. Ma
la fatalità è frutto di errori e di carenze. Ad Angelo Moratti non è riuscita l’impresa di tenere
l’« ultima » Inter nel cerchio magico del « Ciclo d’oro ». Ora ne è uscita. The End.

Rimane soltanto nell’opinione pubblica, soprattutto nerazzurra, la sgradevole sensazione destata
dalle dichiarazioni di Herrera, rilasciate proprio alla vigilia di Mantova, sulla… sconfitta di Lisbona.
Senza entrare nel merito delle argomentazioni assai confuse, capziose e inconcludenti, va soltanto
detto che le « fialette colorate » di Edmondo Fabbri e le sue « visioni sabotatrici » non sono
purtroppo servite a nulla. Herrera è riuscito a trasformare una sconfitta preventivabile e abbastanza
conseguente a due mesi di « assenza di vittorie » in campionato, in una specie di farsetta
autogiustificatrice. Sul tipo della dichiarazione postuma di Lisbona: « Mi è mancato Jair! ». Ma co-
me?! Jair?! Messo in disparte per tutto il campionato assieme al suo concorrente Vinicio?! No,
queste sono balle. Balle come i cibi guasti e i miscelatori misteriosi. Molto meglio il silenzio. Le
maree indietro non servono a nulla. Le figure tapine rimangono. Perdere è normale. Perdere male
irritante. Perdere furbescamente inutile. La lezione di quest’anno servirà soprattutto al Mago.
Herrera è un grande pragmatista. Incassa le lezioni senza ammetterlo. Ma ne fa esperienza. Quando
si siederà al tavolo di Moratti per il processo interno, avrà molti alibi, ma anche molte colpe. Tante
per perdere una finalissima scudetto detto all’ultima domenica… con un punto di vantaggio.

Jair: “potevo giocare”

MANTOVA. Helenio Herrera è sgusciato fuori dallo spogliatoio a testa bassa. Non ha aperto bocca.
Come tutti i giocatori dell’Inter, letteralmente sconvolti dalla matematica certezza di aver perso,
dopo la Coppa, lo scudetto. Solo Sarti, protagonista di un incredibile e decisivo errore ha detto con
le lacrime agli occhi: « Ho visto il tiro: ero piazzato. Credevo di bloccare la palla con facilità e
invece mi è scivolata tra le mani. Non so proprio come sia potuto accadere ». Appoggiato al muro,
non distante, c’è Jair Da Costa. Gli chiedo: « Potevi giocare? ». Risponde con tono polemico,
deciso: « Sì, potevo giocare, stavo benissimo. Per una partita d’attacco credo che sarei stato utile.

Invece niente: comunque lo dico chiaramente: ero in condizioni fisiche per giocare! ». L’avvocato
Prisco, vice di Moratti, ha detto soltanto: « In una settimana abbiamo perso tutto! Ora dobbiamo
metterci umilmente al lavoro per cercare di riconquistare tutto! Speriamo comunque che questa
sconfitta serva almeno a dissipare un po’ quell’atmosfera di antipatia che si era creata intorno
all’Inter durante anni di vittorie! » Dell’Inter non una sillaba in più.

L’allenatore del Mantova Cadè, subito dopo la consegna del mazzi di fiori a Di Giacomo, ha
detto: « La gioia grande per questa vittoria di prestigio è turbata dallo sconforto tremendo che esiste
nello spogliatoio dell’Inter. Umanamente ci dispiace molto, ma d’altra parte noi avevamo il dovere
sportivo di lottare fino in fondo. Mi hanno chiesto se ho trovato l’Inter migliorata rispetto a
Lisbona. Rispondo: nettamente migliorata anche se debbo dire che il Mantova non è il Celtic! In
ogni caso per venti minuti del primo tempo è stata l’Inter dei tempi migliori. Dopo il gol si è persa.
Per loro è molto duro. Aggiungo soltanto una cosa a proposito delle polemiche di fonte torinese
sulla “sospettata” sportività del Mantova: i signori di Torino sono serviti io spero! Ma si dovrebbe
imparare ad aspettare almeno la fine della partita prima di sospettare sull’onestà di una società! ».