1966 settembre Napoli senza rimpianto

1966 settembre (Special Supersport)

Napoli senza miracolo

Non sarà più la squadra che viene dalla B. Non sarà più la sorpresa. I due « rifiuti… d’oro »,
Sivori e Altafini, hanno dato la loro dimensione. Le grandi incognite sono scomparse.
Qualunque cosa accada non sarà più il Napoli del miracolo. Le ambizioni non sono
mimetizzate come lo erano state fino a ieri, ma scoperte. Altafini ha parlato addirittura di un
Napoli meno umile. Un Napoli con milleduecento milioni di cassa-abbonamenti. Un Napoli
senza Meroni, ma con Bianchi, Micelli e Orlando. Il terzo posto, conquistato l’anno scorso tra
lo sbalordito scetticismo di mezza Italia, può essere mantenuto o… migliorato. In ogni caso,
verrà conquistato con i denti, a colpi di gomito. Nessuno sarà disposto a regalare nulla, zero,
al club del « commissario » Roberto Fiore. Al Napoli delle incognite è succeduto quindi il
Napoli dei problemi. La défaillance psicotattica di José. L’insidia della fluidificazione. Il
logorio della nuova frontiera. L’innesto degli uomini nuovi. Se il Napoli sarà ancora grande,
sarà perchè Pesaola avrà risolto questi problemi. Sivori ha puntato tranquillo due milioni:
« Entro i primi tre ! ».

La scommessa di Sivori

I due milioni Omar li ha scommessi con Fiore, con la probabile speranza che, in caso di pronostico
sballato, il presidente non abbia la crudeltà di infierire chiedendogli anche… i due milioni! Resta
comunque il fatto che il cervellissimo napoletano è ancora una volta l’uomo più in forma, fisica e
psicologica, della squadra di Pesaola. Sivori ha impressionato il pubblico di Vienna che lo ha visto
splendido dominatore nella partita di Coppa, ma gli austriaci sanno poco o nulla del campionato
italiano. Non sanno per esempio che la forza di Omar sta soprattutto in una limpidissima maturità di
gioco e mentale che l’argentino ha dimostrato di aver raggiunto in pieno già immediatamente dopo
la separazione (non consensuale) con la Juventus dell’era heribertiana. E’ talmente influente Sivori
nel Napoli che, cito un caso, è lui che ha in « cura » gli umori incontrollabili di Altafini. E’ lui che,
fiancheggiando l’azione di Bruno Pesaola, tenta di dimostrare agli altri di non vendere follie quando
parla di « primi tre », di « secondi dietro l’Inter », di « tutto è possibile ». Un giorno chiesi un
pronostico finale a Dino Panzanato. Scuotendo il baffo alla Pedro Armendariz, lo stopper rispose:
« Quest’anno il Napoli non ha scampo, secondo me: o fa un campionato spettacoloso o finisce in
tragedia! Non ci saranno vie di mezzo ». Sivori ascoltava ad un metro di distanza. Dondolò il
testone: « Ma no! Quale tragedia? La tragedia è che qualcuno la pensi come te, senza ragionare. Ma
dove sono le squadre fortissime?! Dove?! Sa lo l’Inter, con Vinicio o senza Vinicio, prima di
novembre o dopo novembre, è superiore alle altre in tutti i sensi. Ma dopo l’Inter? Il Bologna e…
noi! Chiuso! Ho scommesso due milioni che arriviamo entro i primi tre, perchè sono convinto di
vincere. Non si può dire che il Napoli è così o zero, no, il Napoli, sono d’accordo col Petisso, non è
più una squadra che improvvisamente può sbandare da tutte le parti e finire in un incendio a
Fuorigrotta. Abbiamo gli uomini per sistemare tutti problemi o quasi tutti! ». Da quel « quasi »
dipende appunto la previsione di Omar sulla classifica alla trentaquattresima giornata. Il fatto di
essere attesi, di non aver più alibi, di essersi rafforzati, spaventa qualcuno dei giocatori. Li
intimorisce. Altafini parla di Napoli meno umile: « Speriamo che cambi! », ha detto. Ma non credo
che sia questo il pericolo. Piuttosto quell’ansia caratteristica di tutto l’ambiente napoletano per un

qualcosa di drammatico che sembra sempre sul punto di scatenarsi. Un pareggio in casa non è più
un pareggio, ma l’inizio di una crisi. Una sconfitta non sono soltanto due punti persi ed una lezione
da imparare: quasi sempre diventano motivo di diluvio imminente, di conclusioni pessimistiche
affrettate. Tanto per fare un esempio, dopo l’amichevole perduta a San Siro con l’Inter, sembrava,
dai commenti napoletani, che la squadra dovesse rassegnarsi fatalmente alla retrocessione! Subito
dopo venne la vittoria a Vienna: c’era qualcosa da vincere sul serio, la squadra non mancò
all’appuntamento. In corso Caracciolo si tirò un respiro di sollievo. E’ questa impostazione mentale
(contagiosa) che il Napoli deve annullare, come trappola di fondo. Perchè i problemi tecnico-tattici
sono risolvibili. Gli « uomini ci sono », ha sottolineato con forza Sivori. E si riferiva soprattutto alla
difesa per la quale erano state sollevate fin dalle prime apparizioni amichevoli giustificatissime e
legittime preoccupazioni. « E’ l’attacco invece — aveva aggiunto sottovoce — che mi
preoccupa… ». Sivori non ha torto: la sua diagnosi è esatta. L’interrogativo vero comincia oltre la
metà campo. Sotto, c’è da lavorare, ma con successo. I problemi sono tre: la forma di Bandoni. Le
incertezze di Stenti che non riesce a liberarsi dall’ ombra di Ronzon. La sistemazione tattica di
Micelli e Bianchi sul cadavere della fluidificazione folle.

L’ombra di Stenti

Bandoni, quando suona al pianoforte, è la persona più serafica che si possa immaginare. Quando è
tra i pali è imprevedibile e pazzo. In giornata di grazia nessuna palla gli è negata (rigori parati nello
scorso campionato, addirittura eccezionale quello strappato ad Helmut Haller). Ma spesso, è un dato
statistico, accusa incertezze piramidali, assenze decisive. Il fatto, più di una volta, crea panico tra i
compagni della difesa e irritazione negli attaccanti. Eppure ha ragione Fiore quando afferma:
«Confrontiamo il rendimento complessivo dell’anno scorso: quanti portieri in Italia sono stati
superiori a Bandoni? Pizzaballa ad un certo punto non è riuscito a riprendere il posto con… Cometti.
Anzolin ha commesso errori, come a San Siro, con l’Inter, che tutti ancora ricordano. Lo stesso
Sarti, che è fortissimo, ha avuto un periodo nero. Solo Albertosi è andato via liscio. E allora? »
Allora Bandoni, nella passata stagione, è partito male, ma si è ripreso in fretta ed ha contribuito la
sua parte al successo indiscutibile del Napoli-del-miracolo.

Non c’è nulla che faccia prevedere una défaillance ora. Tanto per cominciare, è stato fra i
migliori nel primo incontro ufficiale dell’anno: contro il Wiener di Coppa. Fiore ci spera ancora, ma
penso che uno degli elementi fondamentali per ridurre al minimo i danni delle giornate « pazze » sia
quello di impostare davanti al portiere una difesa senza incertezze. Non credo sia stato casuale il
fatto che nel campionato scorso il periodo-no di Bandoni sia coinciso con il momento in cui Pesaola
stava dibattendosi come una lucertola nella stretta dell’alternativa psico-tattica fra Stenti e Ronzon.
Un’alternativa che a suo tempo si risolse a favore del « partito-Ronzon » per un infortunio di gioco
subito da Stenti allo zigomo, ma che ora sembra rientrata nell’ordinaria amministrazione con una
preparazione impostata sul tentativo di rimettere stabilmente in piedi, senza riserve mentali, la
coppia Panzanato-Stenti. Si è parlato a suo tempo di una sfacciata « preferenza » di Fiore per
Ronzon, tanto che Stenti, senza confessarlo, ne subì per lungo tempo una specie di .persecuzione.
La questione è superata. Amedeo Stenti « sa » di essere il titolare. Ha la possibilità di dimostrare di
essere il migliore sul campo perchè Pesaola questa possibilità gliel’ha data. Ronzon e Stenti sono
diversissimi come temperamento. Il « duello al sole » esalta Ronzon, gli fa rendere al doppio,
mentre innervosisce, crea ombre in Stenti. Anche il gioco dei due liberi è diverso: in area,
nell’interdizione « sull’uomo » Stenti è indubbiamente più forte; nell’intercettazione volante a

« tagliare » le azioni, più pronto Ronzon che è libero meno « specializzato ». Ma un giorno non
lontano la coppia Panzanato-Stenti fu una delle più ammirate e contese del campionato: se Stenti
sarà aiutato a vincere la sua paura di sbagliare (e di perdere il posto) la coppia con tutta probabilità
sarà reintegrata in pieno. Fra l’altro, con l’arrivo di Micelli e Bianchi, è indispensabile un libero
alla-Picchi, che non si permetta evasioni e licenze stilistiche. Questa è una indicazione vincolante
anche per Stenti.

La trappola di Bianchi

Quando Ottavio Bianchi lasciò il Brescia per il Sud, Renato Gei commentò: « Bianchi oramai era
un dio a Brescia, non aveva più alcuna disciplina tattica perchè si sentiva il migliore. Ma a Napoli
credo che farà un grandissimo campionato: laggiù, a contatto con grossi nomi, guadagnerà in
modestia, perderà la tendenza a strafare e sarà sicuramente fra i primi tre mediani d’Italia ». Gei,
quando ancora non erano cominciati i ritiri pre-campionato, non ne sapeva nulla di quale sarebbe
stata l’impostazione di Pesaola, ma è chiaro che nessuno meglio di lui avrebbe potuto tranciare
giudizi sul mediano ceduto a Fiore. Il pubblico napoletano è costituzionalmente un pubblico
« d’attacco ». Senza dubbio più di qualsiasi altro pubblico d’Italia è, per istinto, portato a
disprezzare le impostazioni che abbiano sapore di rinuncia, di paura, in una parola, di catenaccio.
Fiore ha scelto Bianchi perchè era l’uomo che, ovviamente, preferiva a qualsiasi altro mediano, ma
forse anche per interpretare questo stato d’animo. Bianchì è il « Beckenbauer », il mediano che fa
gol: con questa etichetta e con nessun’altra è stato presentato all’opinione pubblica. Ma assieme a
Bianchi è arrivato anche Micelli, che Carniglia aveva messo nell’elenco dei «cedibili», perchè
convinto che troppi gol incassati dalla difesa bolognese avessero radici nella esasperata tendenza di
Micelli ad avanzare e a scoprire la zona. A Carniglia bisognerebbe chiedere per quale misterioso
motivo non sia riuscito a far fare a Micelli quello che lui, Carniglia, avrebbe voluto. In ogni caso
don Luis preferì il duro Ardizzon. E Micelli calò a Napoli. Due uomini quindi, Bianchi e Micelli,
con identiche caratteristiche in ruoli diversi: entrambi tagliati su misura per l’appoggio all’attacco,
entrambi deboli per la copertura vera e propria. La scelta potrebbe alla lunga rivelarsi una trappola.
Dipende unicamente dalla maniera nella quale Pesaola userà questi uomini. Solo un pazzo può
pensare ad esempio che la difesa del Napoli ‘67 sia quella vista a San Siro contro l’Inter. Lo stesso
Pesaola si è messo a ridere quando gliel’ho fatto notare. « Macchè San Siro! — ha ridacchiato —
Ma siamo senza cervello? La difesa del Napoli la vedrete in campionato: la fluidificazione non so
neanche cosa significhi! Alla difesa io insegno a non prendere gol; solo quando ha imparato
perfettamente questa lezione, penso al resto! » Pesaola è quindi tranquillo, almeno quanto Omar
Sivori che non ha mai pensato più di tre secondi ai problemi difensivi, « tanto — ha ripetuto — gli
uomini ci sono, basta sistemarli ». Sistemarli in maniera che Micelli faccia il terzino. Se non
riuscisse a farlo come dovrebbe c’è sempre la valvola di sicurezza Girardo (a destra con Nardin a
sinistra), che dall’alto della sua illimitata modestia ha sempre mantenuto le promesse. Sistemarli
anche in maniera che Bianchi sfrutti in pieno le sue innegabili possibilità offensive, senza per
questo abbandonarsi a pericolosissime infatuazioni. Bianchi è un ragazzo intelligente, « non ho
trovato nessuna difficoltà ad adattarmi al gioco del Napoli, » mi ha detto. Ha tutte le qualità per
essere veramente il mediano che Fiore voleva. A meno che Pesaola non accetti alla lunga la vecchia
idea del presidente e cioè Juliano mediano! E’ una idea che, se realizzata, imporrebbe lo
spostamento a mezzala di Bianchi. Ho chiesto a Bianchi cosa ne pensi: « Non ho mai giocato
mezzala, quindi non saprei cosa pensare: comunque un conto è infilarsi in avanti venendo su da

lontano, un conto è fare la mezzala stabilmente. Non so… » Non mi è sembrato molto entusiasta
della « proposta », ma forse Fiore non ha tutti i torti: con una mossa del genere (che dovrebbe in
ogni caso essere sperimentale) potrebbe riuscire al Napoli il colpo di cogliere due piccioni con una
fava: un mediano che marca (Juliano) e un Bianchi d’attacco, in libertà.

La sponda di Altafini

Orlando è arrivato al Napoli quasi per caso. Erano i tempi in cui Fiore non dormiva la notte per
cercare la maniera di strappare Gigi Meroni dalle tasche di Orfeo Pianelli. Ad un certo punto,
quando da Torino giunse la notizia che il beatle era incedibile, con o senza capelli, Fiore, pur di non
lasciar cadere la trattativa, mise nel giro anche Orlando. La manovra di agganciamento indiretta non
spostò di un millimetro l’affare-Meroni e Orlando passò al Napoli « indipendentemente ». Il
campionato scorso Orlando fu penoso, più penoso del globalmente penosissimo campionato di
Nereo Rocco. Orlando aveva veramente toccato il fondo della sua reputazione. Eppure a Napoli
sono convinti ( e credo che non sbaglino) del ricupero totale del « capoccione de Roma ». Orlando,
con i suoi grossi limiti intrinseci, è pur sempre uno che va dentro se messo nelle condizioni di
sfondare secondo le sue caratteristiche. A Torino non gliene andava bene una. Un giorno confessò a
un amico: « Questo nun è er mio ambiente: so tutti burini, nun posso mai di’ na’ parola de filosofia…
Mai niente! Me so stufato. » Al Sud è stato accolto can scetticismo e disinteresse, ma Orlando
sembra che stia battendo la strada giusta per raggiungere il suo limite di onesto centravanti. Sarebbe
anzi un grosso traguardo che riuscisse a diventare la decisiva (ai fini del gol) sponda di Josè
Altafini. Il ricupero di Orlando sarà tutto merito di Bruno Pesaola che lo sta particolarmente
curando in tutti i sensi. Se riuscisse a trasformarlo in una « sponda di gomma » per Josè, il Petisso
avrebbe raggiunto un insperato obbiettivo.

Quando Sivori, sull’ottimo campionato del quale nessuno nutre dubbi fondati, parla di
«preoccupazioni» per l’attacco, senza scendere a particolari e a nomi, credo si riferisca ad un certo
stato di diffuso disagio che si concretizza in alcune precise situazioni. Canè vive di esplosioni
oniriche, ma il suo standard normale è appena discreto. Questa forse è una prima preoccupazione.
La seconda, grave, porta il nome di Josè Altafini. Roso dalla nostalgia, incapace di sopportare le
censure spesso violente e ingiuste alle quali viene sottoposto ogniqualvolta non riesce a dare quanto
« potrebbe » dare, Josè ha scelto l’esilio tattico. «Voglio giocare mezzala: non m’interessa se mi
lasciano il numero nove sulla schiena! Vorrei soltanto poter partire da lontano, appoggiare su
Orlando ed entrare in area per la conclusione quasi di sorpresa. Mi sono stancato di stare lì in mezzo
all’area a fare le brutte figure per gli altri e d’altra parte non sono disposto a correre senza palla
come vorrebbero! Io sono brasiliano e so giocare soltanto con la palla! » Dopo questa categorica
presa di posizione, Pesaola si trova a dover risolvere un problema in più con l’obbligo di non creare
crepe inutili e dannose. In definitiva l’avvenire del Napoli è condizionato alla concorrenza o meno
dei tre irrinunciabili elementi di una squadra da scudetto: un supercervello (Sivori), un cast di
giocatori di classe media in forma (Stenti, Panzanato, Juliano, Altafini), una panchina all’altezza
della situazione tattica e psicologica. Il compito di Bruno Pesaola, è segnato.