1965 ottobre 17 Inter Torino La rabbia di Mazzola

1965 (Supersport)

Inter – Torino

La rabbia di Mazzola

SAN SIRO – Helenio Herrera ha distrutto Rocco schiacciandogli addosso un’Inter fredda,
implacabile. Un’Inter che, senza clamore, ma con scontata determinazione, sta raggiungendo il suo
limite « mondiale ». E l’autunno è sceso sul Torino. Un Torino che, a sette giorni di distanza dalla
prima vittoria del campionato (…sul Varese), ha perduto la maschera inadeguata dell’imbattibilità ed
è stato violentemente messo di fronte alle sue insufficienze croniche. Insufficienze di uomini, ma, e
questa è una sorpresa, anche di temperamento. Nereo Rocco, anche quando si è trovato a dover fare
il mago senza aver la bacchetta magica, ha sempre trovato la carica, la forza interiore per trasferire
al suoi uomini la rabbia in corpo, la volontà di lottare. L’Inter ha ucciso anche questa volontà,
perché era una volontà fiacca, senza mordente. Un’Inter che ha espresso in Sandro Mazzola la punta
di diamante implacabile, opportunista, furba e classica; in Mario Corso l’irraggiungibile funambolo,
l’uomo tutto cervello che poteva non convincere soltanto… Edmondo Fabbri! Il Mago non è mai
stato tanto tranquillo e Nereo Rocco mai tanto abbattuto e « scaricato »: in questi due atteggiamenti
è la chiave della partita. E del campionato: per l’Inter e per il Torino.

«Yò dito che l’Inter doveva vinzere e l’Inter ha vinto! Ma yò non sono un indovino: yò digo così
porché so quanto è forte questa Inter. I nemici inventano crisi che non esistono: digo no che yò non
parlo più con Mazzola, con Corso, con Picchi e non ricordo con chi. Yò credo che dopo questa
vittoria su un grande avverzario come el Torino, tutta la Italia deve ridere! ». Il Mago è scatenato:
quattro gol al Torino (che ne aveva incassati quattro… in sei partite) e nessuna rete al passivo, ma
soprattutto la caduta dl Liedholm a Firenze, lo fanno sorridere come se fosse appena uscito
dall’aereo con la Coppa del Mondo che gli piega il polso: « Yò non parlo con Corso, con Mazzola,
con Picchi, capito? E toro hanno chiesto al presidente di cacciare via… me! Avete visto cosa hanno
fatto per cacciarmi e per boicottare il Mago? Mazzola regala un gol dietro l’altro: me hanno dito che
l’ultimo, con quel fantastico colpo de testa, ha ricordato a tutti i gol di… John Charles, me peccato
parche lui era della Giuve, no?! Me yò sono sbalordito da Corso: si due anni fa esisteva un
problema de Corso, ora non c’è più neanche el fantasma de questo problema. Lui gioga sempre con
lo spettacolo sul piede conte quando se gioga en amichevole, me adesso no se estrania più de la
partita. E siempre presente, siempre pronto: yò non sono stato empressionato da l’axione del primo
gol che lui ha fatto veramente, ma da tutti i tackle che ha vinto en difesa, da tutto el lavoro che ha
fatto a centrocampo con una squadra che a centrocampo è siempre fitta fitta e stringe lo spazio!
Digono che yò voglio fare polemica e ficcare el naso nella Nazionale: dove esiste una mezzala che
fa el suo giogo? ». Mario Corso ha incantato: ha avuto una breve pausa, forse dieci minuti o poco
più, durante il primo tempo. Il tempo di pensare che forse non valeva la pena di dimostrare niente a
nessuno, perché tanto hanno capito tutti da che parte sta la ragione. Quando ha smesso di pensare ai
fatti suoi (a quelli… azzurri), è « rientrato » nell’Inter ed ha continuato a creare gioco ed a
entusiasmare. Perché il segreto di Corso sta proprio in questo: la grande maturità che ha raggiunto,
la serenità mentale e l’armonia psico-fisica, gli permettono di creare (con Luis Suarez) il gioco
dell’Inter senza rinunciare allo show personale, a ciò che lo diverte e che fa impazzire il pubblico
assetato di spettacolo. Nell’era della marcatura stretta, del catenaccio-su-giocatore, del libero fisso,

Mario Corso è giocatore (utile) e funambolo (spettacolare). Ha ragione il Mago quando dice che
l’Inter non avrà il problema di sostituire Suarez, perché, quando lo spagnolo passerà la mano per
raggiunti limiti di età, sarà proprio lui, il veronese, il super-cervello dell’Inter.

Bruno Bolchi ha tentato di fermarlo, ma è finito cotto, alla distanza. Ma anche prima di credere
totalmente brancolava invano nel buio della super-finta del mancino d’oro di Angelo Moratti. Il gol
che ha gelato la schiena a paron Nereo, il primo è tutto (o quasi) di Corso. Un’azione lunghissima,
per decine di metri, con un mazzo di dribbling inafferrabili, con un’ultima « spolverata » alla palla
sulla linea bianca del fallo laterale prima di sedere una mano di avversari e lanciarla liberissima in
mezzo all’area di… Vieri per il piede di Jair: tiro-cross nello specchio, rimpallo di orgasmo a tre
metri dal portiere fra Pula, Rosato e Mazzola che, prima di segnare i due gol veri, segna
nell’inconscio incocciando casualmente per ultimo. Bruno Bolchi non ce l’ha fatta con Corso, ma
neppure Puia con Domenghini, neppure Rosato con Mazzola. Nereo Rocco aveva inventato un
« gioco dei numeri » che non ha confuso nessuno, meno che meno Herrera. Moschino aveva il dieci
sulla schiena, ma era il libero, e Ferretti, con il marchio del mediano faceva la mezzala: ma il conto
alla rovescia, con tutta probabilità, non sarebbe tornato ugualmente per il Torino. Rocco non ha
sbagliato marcature: Rocco ha piazzato gli uomini come poteva e doveva. Ma gli uomini non
c’erano: i nerazzurri vincevano i duelli personali con discreta facilità, passavano dalla difesa
all’attacco senza forzare eccessivamente, anche quando Luiz Suarez non era ancora « grande ».

il solo Meroni ha

Dov’era il Torino che l’anno scorso, nell’ultima partita di campionato, fece sudare San Siro e il
Mago come era capitato raramente? Dov’era il Torino duro, caricato, potente, deciso e rabbioso che
ha sempre impegnato allo spasimo l’Inter? Quasi per tradizione. Questo Torino non c’è stato, non si
è visto. Una squadra che non ha lottato, che ha subito senza convinzione, fatalmente. Una squadra
senza denti per mordere, dove
l’impossibile avvicinamento
all’emozionatissimo Minussi ed ha talmente impegnato Facchetti da regalargli uno stiramento al
bicipite… per usura. E Orlando? C’era Vittorio Adorni vicino a noi: guardava distratto, ma ad un
certo punto ci disse: « A me piaceva di più Hitchens! Aveva la stessa tecnica di Orlando, ma aveva
la rabbia addosso; la rabbia degli inglesi forti, alla Simpson! ». Orlando ha dato ragione a Vittorio
Adorni e ha fatto bestemmiare Rocco in panchina che, qualche giorno fa, sembrava preoccupato
soltanto per Simoni. Simoni ha colpito anche un palo, poco prima della incornata di Mazzola-
Charles, ma il Torino si è avvicinato al gol quasi esclusivamente per un certo timore della difesa
interista. Il timore-Miniussi, la paura del pivello.

tentato

C’è stata della confusione, scarsa « pulizia » a volte, ma ciò non è stato sufficiente al Torino per
andare in gol. E allora dove sta il difetto? « Forse nella difficoltà di inserimento dei nuovi, forse
nella presunzione di qualche giocatore che si è montato la testa… ». Forse, dice Rocco. Ma a noi
francamente sembra che prima che un problema del Torino, sia un problema di Rocco. Un problema
di convinzione, di morale. Paron Nereo si è un po’ smontato, non è più tanto convinto: dire che il
Torino sia una squadra di giovani, in fondo lo fa soltanto sorridere. Ma con una mascella sola:
quella padovana è indurita, più indurita che mai. I campionati di assestamento, lo scudetto che verrà
gli fanno l’effetto delle favole dì Grimm: non le capisce più e ha finito dl crederci. Un gol come il
secondo dell’Inter il Torino di Rocco non può, non deve incassarlo: Corso batte, ribatte una
punizione su Jair, due volte libero; da Jair a Suarez libero da Suarez a Jair, totalmente solo, che fila
lontano e in area c’è solo… Rosato con Mazzola: « Che faccio adesso? » si disperò Rosato non
potendosi dividere in due e andò su Jair che diede a Mazzola. E fu il due a zero. Nell’istante preciso
nel quale Corso batteva la punizione Nereo aveva capito e visto tutto: si alzò in piedi e urlò a pugni
serrati di svegliarsi, di chiudere, ma non fece a tempo a sedersi che Vieri era già battuto. Nereo

Rocco non è tipo che può aspettare molti anni per vincere: a Padova si era vestito di un mito.
Incarnava la forza e la furbizia della provincia. Al Milan, con Viani a Nervesa o dietro la panchina,
Nereo Rocco fu tricolore ed europeo. A Torino ha stretto i denti, ha giurato di vincere alla distanza:
ma ora forse non ce la fa più. Sente che non può ripetersi, che gli uomini sono cambiati,
qualcuno,… ma non il risultato. Rocco non è rimasto provinciale: a Milano molta gente lo
rimpiange e Milano non è Padova. La verità è che Rocco si è reso conto che lo scudetto è davvero
un sogno proibito. Helenio Herrera ha reso forse troppo traumatico questo concetto, ma a noi
sembra che la verità sia proprio questa. Perché il Torino ha perso soprattutto la volontà.

Un piano sul quale ha vinto la sua guerra personale Sandro Mazzola. Un Mazzola pieno di rabbia
che ha quasi segnato il primo gol ha segnato il secondo, ha costruito il terzo dribblando mezzo
Torino e dando a Domenghini la palla a mezza altezza giusta da tirare al volo sotto la traversa, ha
segnato anche l’ultimo con una testata dall’alto al basso da incorniciare per sempre. Ha legato in
continuità con un Jair che senza essere andato in gol è stato potente, pronto ed altruista. E con
Domenghini, più mobile, più in palla, più sereno e più efficace che in tutte le precedenti partite. Con
questi uomini, con una condizione che si perfeziona, con una fiducia herrerizzata, illimitata, l’Inter-
della-tranquillità, come piace definirla ad Angelo Moratti, si è seduta sul trono dello scudetto con il
Napoli.