1965 aprile 25 Monza 1000 chilometri. La corsa dai box

1965 aprile 25 – Monza La corsa dai box

Mille chilometri sotto un sole caldo e incerto. Cinque ore ruggenti vissute nella più variopinta,
drammatica e allucinante delle atmosfere: quella dei «box». Assomigliano a degli alveari gremiti
fino all’inverosimile da gente che porta stampata sul volto, sugli occhi, sul vestito, la sua «parte».
Meccanici in tuta verde, rossa, bianca, azzurra. Con scritte da fantascienza e berretti strani calati
sulla fronte. Li vedi distratti, ciondolanti; strisciano lungo i muri come lucertole. Poi,
improvvisamente un segnale convenzionale: la mano alzata di un pilota, i fari accesi o l’indicazione
«da terra» del tabellone segreto. Il bolide si ferma al suo box. E allora le «lucertole» si scatenano:
fredde, essenziali, perfette. Ognuno ha un compito preciso e lavorano «insieme». Spettacolosi e
incredibili i meccanici della Ford: tuta verde su bolidi azzurri con striscie bianche. Ho assistito a un
cambio di gomme supersonico: cinquantasette secondi! Era la «GT 40» di Bruce McLaren.
Li ho rivisti, più tardi, all’assalto della «Cobra» di Bondurant: benzina, olio, acqua e pulizia totale al
parabrezza. Cinquantaquattro secondi. Veri draghi. Coordinati, scientifici. Il loro regno dura
soprattutto trenta giri. Su cento. Quanto le «tirate» iniziali portano a galla tutte le magagne. Più
tardi, sulla metà gara gli interventi al box diventano più rari. Le macchine urlano senza spasimi o
rientrano malinconicamente nel parco macchine. E’ un momento di disagio: qualche pilota, segnato
profondamente in volto dallo stilo della rinuncia, riporta lui stesso l’«adultera» in cimitero. Qualche
altro esce dal guscio senza parlare, si toglie il casco, stringe una mano e se ne va. Ci penseranno gli
altri.
La gente, in lunga fila, incombe sui box. Da sopra. Dappertutto cartelli di «severamente vietato
fumare», ma le sigarette spuntano come i funghi a un paio di metri dalle enormi bocche del
carburante. E’ una pratica rischiosa, di morte. Ma la morte, ad una Mille Chilometri, non arriva con
un mozzicone. C’è una curva. La chiamano «parabolica»: la morte aspetta laggiù. Aspetta il numero
«66»: la «Ferrari 365 P» di Muller e Spychiger.
Tommy Spychiger è di Lugano. Ha trentun anni e non è sposato. Suo padre ha una grossa industria
di ceramiche. Tommy è titolare di un lussuoso ristorante, ma alle alpi svizzere preferisce le piste
d’asfalto di mezza Europa. A Monza, il cartellone elettrico indica che la corsa sta divorando i dieci
chilometri del trentacinquesimo giro. Dinanzi alla tribuna un commissario di gara sta sventolando
una bandiera bianca: è il segnale che c’è una macchina di soccorso in pista. Un fremito percorre
come un lampo tutto il cemento dei box. Colli che si tendono per vedere ciò che non si può vedere.
Domande. Risposte che non vengono. E tante facce che fanno finta di niente perchè la corsa è al di
sopra di ogni cosa, anche della paura. E della morte. Qualche minuto, e un’ambulanza bianca si
ferma davanti a noi. Viene dalla curva: sulla barella scopriamo uno strano fagotto, una coperta
grigia arrotolata da un infermiere. Al momento non capiamo. Ma sulla curva parabolica Tommy
Spychiger ha tentato di frenare e i freni non c’erano più. Un volo a oltre duecento all’ora,
un’impennata sul terrapieno, la testa che si stacca nettamente e cade sul prato, un rotolare infuocato
e il corpo decapitato che brucia tra le lamiere rosse. Sull’ambulanza un fagotto. Pochi istanti prima,
alla sosta ai box, il compagno Muller lo aveva ammonito: «Sta attento; frena poco!». Annie
Soisbault, alta, bruna, in tenuta azzurra: doveva sfrecciare con una 250 Les Mans, ma il «partner»
Langlois s’è già fermato. Per lei tutto è finito prima di cominciare. Passeggia, distratta e ci chiede
dell’incidente. Le diciamo quanto sappiamo. Una piega sulla fronte, un «Ah, oui… oui…». E si
allontana.
Tommy era fisicamente menomato ad una mano: la destra aveva il solo pollice e mezzo indice.
Qualcuno ipotizza un errore di manovra. Ma la carcassa smentisce. Le sue mani erano saldamente e
perfettamente al volante: nessun errore. Soltanto i freni, che non c’erano più. Lungo i box, in questo
affascinante e ululante angolo, i cronometri continuano ad impazzire, i meccanici a volare, i bolidi
ad arrivare, respirare e partire. La morte non conta.