2000 Moderni D’Artagnan judo e tarantella
2000 – Moderni D’Artagnan judo e tarantella
Andai a sedermi accanto a Edoardo Mangiarotti, monumento universale alla scherma.
Gli  confidai  che  non  riuscivo  a  cogliere  nemmeno  una  stoccata  e  che,  senza  il
segnalatore elettrico, avrei dovuto conteggiare alla fine i salti di gioia per indovinare
il vincitore di turno. “Guardi che a volte – mi confidò paternamente – anche i salti di
gioia  possono  essere  finti,  per  influenzare  i  giudici!”.  Ai  suoi  tempi  non  ne  aveva
avuto bisogno, lui tirava di destro e di sinistro, di spada e di fioretto, vincendo tutto
quello che c’era da vincere.
Istruito  dal  mitico  “Edo”,  a  Montreal  nel  1976  imparai  che  la  scherma  è  un  lampo
della palpebra, un ago nell’aria, un riflesso del gran simpatico, un attrezzo di quasi
otto  etti  di  peso  che  devi  sentire  in  mano  come  una  piuma  di  ferro.  Per  questi
D’Artagnan di scuola, il rosso del bersaglio si accende con i loro nervi in pedana dove
il  duello  bisogna  sentirselo  dentro  come  nel  Seicento,  il  secolo  d’oro  del  guanto  di
sfida.  Ma  ancora  alla  fine  del  secolo  scorso  il  direttore  della  Gazzetta  di  Venezia
infilzò a morte Felice Cavallotti, il leader della sinistra radicale che era già scampato
a 31 sfide.
È  veloce  come  i  ragazzi  di  Internet,  la  scherma.  Allo  stesso  tempo,  illustra  in
mondovisione  e  ad  alta  tecnologia  movenze  da  trattato:  Il  fiore  dei  duellanti,  lo
chiamavano.
Il  miracolo  è  questo.  Ogni  Olimpiade  svela  a  tantissimi  lo  sport  di  pochissimi,
soprattutto in un paese come il nostro, tutto Del Piero e Maranello. Così, di colpo sul
podio, salgono dal nulla carabinieri, poliziotti, campioni alla pastasciutta, calabresi di
Novara, atleti da college Usa e persone belle dentro: penso ad Alfredo Rota, con la
sua camera tappezzata di Ayrton Senna, l’asso più umbratile e controluce, nel quale
riconosce un po di sé, con una stoccata di nostalgia.
Non parliamo di Giuseppe Maddaloni, lo scugnizzo del judo che, come noto, non è
una tarantella di Totò ma l’arte giapponese codificata da tale professor Jigoro Kano.
Troppo  bello  questo  judo  alla  mozzarella  e  quando,  piangendo,  lo  ha  dedicato  alla
mamma, ho ripensato a Patrizio Oliva, vent’anni fa a Mosca, un momento dopo il suo
oro nel pugilato. “Vi prego di scrivere – disse ai giornalisti – che sono napoletano di
Poggioreale, in via Statera, mi raccomando. E vi domando un altro piacere: scrivete
anche che lavoro al Banco di Calabria, che magari, con nu’ poca di pubblicità, chilli
mi danno qualche permesso in più”.
Quando vince un napoletano, è subito Eduardo De Filippo. Secondo me, lo ha capito
al volo anche Sydney la post-moderna.