1999 Settembre 12 Piangere a 300 all’ora

1999 Settembre 12 – Piangere a 300 all’ora

Mikka Hakkinen ha quattro “k” addosso, finlandesi come la multinazionale Nokia e come il
markka, moneta nazionale. Un nome e un cognome gutturali, che ti escono quasi dal fondo della
gola, aspri e duri. Ma l’uomo delle quattro kappa ha pianto accovacciato dietro una siepe di Monza,
disperato più di un bambino senza consonanti. Non voleva perdere.
Anche i samurai e i berretti verdi sanno che non si può perdere. E’ più scomodo vedersi sfuggire ciò
che si credeva di avere già in pugno.
A 300 all’ora i piloti sono un presagio. 24 ore esatte prima di morire a Imola, Ayrton Senna vide
schiantarsi in prova e cessare di vivere l’Austriaco Roland Ratzenberger. Rientrato in albergo,
telefonò alla fidanzata per dirle: “Non ho più voglia di correre”.
I campioni-robot esistono soltanto per i moralisti. Eddy Merckx e Franco Baresi piansero, per
un’ingiustizia patita e per un errore decisivo. Mennea lasciò l’atletica a ciglio asciutto, ma sono in
molti a piangere l’addio alla carriera, al pubblico, all’exploit, alla remuneratissima gloria.
Chi crede che il denaro prosciughi le emozioni, ignora le emozioni o travisa il denaro. Anche se per
un pilota di formula uno come Hakkinen o Schumacher vale 80 miliardi a stagione; cinque miliardi
di Gran Premio, 42 milioni a minuto per due ore di corsa, nessun contratto gli risparmierà un’unghia
di stress e nessuna cifra lo lo ridurrà a un conto in banca. Resta un uomo in carne, ossa e paure,
resta adrenalina e voglia di silenzio, concentrazione e struggimento, resta persona, nervi, totalmente
vero, al 100 per 100. Senna pregava sulla Bibbia.
Ai box, le compagne attendono assieme ai meccanici, l’ingegneria in comproprietà con la vita.
Il pilota è più veloce dei suoi stessi “bolidi”, che guida con testa, occhi, mani e piedi. Anche con i
sogni, le ambizioni, l’orgoglio, la viltà, i cedimenti, le invidie, i rancori e gli interessi.
Per questo 12 milioni di telespettatori si sintonizzano alla partenza. Quando lentissime si accendono
le luci, come grandi lucciole verdi, ad accelerare sono cuori e motori. Mai robot.
Forse non è mai stata così umana la Formula 1, forse nemmeno ai tempi di Nuvolari. La tecnologia,
che misura i piloti a millesimi di secondo, fa giganteggiare i loro errori: sembra ridurli a comparse,
in realtà li rende sempre più padroni.
Padroni di vincere, di piangere. A volte, di ferirsi, di morire.